La categoria dei Liberi professionisti
deve provvedere alla sua difesa con tutti i mezzi più risoluti, attraverso organizzazioni sindacali ad adesione libera,
sottratte ad ogni disciplina e gerarchia statale, limitate ai soli puri professionisti,
ossia a coloro che, unicamente da contratti di opera e mai da remunerazioni a tempo o a stipendio e quindi da lavoro subordinato,
anche se intellettualmente di alto grado, traggono i materiali mezzi della propria sussistenza".
Amadeo Bordiga, cofondatore del Sindacato Ingegneri Liberi Professionisti – Napoli, 1950

mercoledì 21 dicembre 2011

QUALCUNO COMINCIA A PRENDERE COSCIENZA DEL PROBLEMA DEI PROBLEMI: LA MACCHINA BUROCRATICA CHE BLOCCA IL PAESE

Finalmente da più parti comincia a manifestarsi la consapevolezza che buona parte di problemi del paese, e del nostro settore in particolare, sono causati dalle ormai insopportabili e soffocanti procedure burocratiche, dalla elefantiaca quantità e qualità di Leggi e Norme con cui tutti noi dobbiamo fare quotidianamente i conti e dalla incapacità della politica di comprendere la realtà e quindi di dare risposte efficaci.

Due casi di rilievo vogliamo segnalare.

1) Il primo è un articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 18 dicembre 2011. Panebianco è uno dei più lucidi politologi italiani e, leggendo l'articolo, ogni architetto, soprattutto toscano e aretino in particolare, potrà riconoscerne l'aderenza alla realtà, pensando al caso della legge regionale 40/2011 che modifica la Legge 1/2005 e  del Regolamento Urbanistico di Arezzo: la figura del politico che "decide" senza conoscere è una fotografia a noi nota.
Questo il link all'articolo:

di Angelo Panebianco


2) Il secondo è un ampio stralcio della Relazione programmatica del Presidente Nazionale di IN/ARCH, Isitituto Nazionale di Architettura, Adolfo Guzzini all'Assemblea Generale del 2011. Il Presidente Guzzini non è architetto ma imprenditore. Anche qui ritroviamo moltissimi elementi in comune con il Regolamento Urbanistico di Arezzo, con le procedure che dobbiamo seguire, con la quotidiana lotta per le interpretazioni delle incomprensibili e assurde norme, con la difficoltà, oltre alla crisi, di dare avvio a qualsiasi operazione edilizia.
Questo stralcio è stato tratto dal sito IN/ARCH.

Relaziona programmatica
…..La crisi ha messo in discussione inevitabilmente molti falsi miti del mercato senza regole, della finanza spregiudicata ed ha anche portato a rivalutare antichi valori troppo frettolosamente dimenticati.
Ma alle porte c’è anche il rischio di una società, soprattutto in Italia, che si chiude in se  stessa, insicura, incapace di qualsiasi progettualità. ….
Non voglio quindi soffermarmi troppo sui consueti tasti del nostro carnet de doléance. Voglio fare una selezione, una scelta. ……..
La seconda immagine che vorrei richiamare è contenuta in una recentissima indagine del Sole24Ore condotta a partire dal censimento del Nimby Forum, dove “Nimby” l’ormai famoso acronimo di “not in my backyard”, “non nel mio orticello”
Il quotidiano economico cita alcuni casi emblematici:
Il progetto per la realizzazione di un supermercato Esselunga a Cusano Milanino, nell’area dell’ex produzione cavi della Pirelli, è fermo da 25 anni per l’inerzia di tante pubbliche amministrazioni e l’opposizione di più o meno improvvisati comitati di cittadini.
Dopo sei anni di lungaggini burocratiche e mancate risposte il colosso svedese IKEA rinuncia alla costruzione di un nuovo centro nel comune di Vecchiano, in provincia di Pisa, portando via un investimento di oltre 70 milioni di euro che avrebbe prodotto 350 nuovi posti di lavoro.
L’approvazione del progetto di riconversione di una vecchia fabbrica Maccaferri in provincia di Arezzo in un moderno impianto a biomasse per la produzione di energia elettrica, dopo cinque anni di inconcludenti pratiche urbanistiche, è stato rinviato a data da destinarsi dalla Regione Toscana. 100 milioni di investimento e 450 nuovi posti di lavoro bloccati.
Sono passati oltre 10 anni dalla presentazione del progetto di realizzazione di un deposito per lo stoccaggio del gas a Rivara, nella campagna modenese, senza riuscire a venirne a capo. Il problema non è tanto nella opposizione del territorio – ha dichiarato il presidente dell’azienda Indipendent Gas Magement – ma nel sistema Italia che non è in grado di far sintesi di tutte le istanze, della proliferazione dei centri decisionali che possono creare ostacoli.
Mi fermo qui per ragioni di sintesi, ma i casi potrebbero essere ancora migliaia. Casi che non riguardano solo grandi insediamenti commerciali o industriali o infrastrutturali ma anche piccole, piccolissime trasformazioni urbane, limitati interventi residenziali e via dicendo.
Ecco dunque la dicotomia: da un lato un paese devastato nel suo paesaggio da abusi e scelte sbagliate che consumano in modo indiscriminato il territorio, come denunciano Stella e Rizzo, e dall’altro lato un paese bloccato, paralizzato da insostenibili lungaggini burocratiche come racconta il Sole24ore.
Da che parte stiamo? Siamo sicuri che l’alternativa sia tra scempio del territorio e paralisi?
Siamo sicuri che l’alternativa sia tra il fare e il non fare e non tra il far bene ed il far male?
Forse dovremmo ragionare su un altro piano. Forse è proprio la paralisi normativa e procedurale ad essere funzionale al degrado……..
Oggi in Italia economia, cultura, architettura sono tutte bloccate inevitabilmente dalla cattiva politica e dalla cattiva amministrazione.
E’ del tutto inutile parlare di alcunché se non affrontiamo una volte per tutte il problema della elefantiasi delle procedure che, mentre soffoca il nostro paese,contemporaneamente consente, di fatto, lo scempio dei suoi territori.
Parto da una considerazione: in Italia la Pubblica Amministrazione, a tutti i livelli, non chiede qualità ai progetti di trasformazione del territorio. Non la chiede perché non gli interessa.
Chiede altro e si interessa d’altro. Chiede carte, burocrazia, asseverazioni, giuramenti, metri cubi, rispetto di parametri inutili, verifiche di vincoli astratti e contradditori.
Si compiace nel costruire corse ad ostacoli sempre più difficili e fantasiose, nel moltiplicare i centri decisionali, i diritti di veto, l’attribuzione di competenze a soggetti incompetenti.
Amplifica all’inverosimile norme e contro-norme, livelli di pianificazione, inutili regolamenti.
In questo quadro è del tutto inutile continuare ad offrire qualità a chi non la vuole, a chi non la cerca. E’ come proclamare il proprio immenso amore ad una donna che non ti vuole.
Altro che leggi per l’Architettura, piani strategici, piani territoriali, piani integrati, concorsi di progettazione, regole di appalto. In questo quadro il problema non è neanche la mancanza di risorse legato alla crisi economica.
Si coniano, in ogni sede, nuovi slogan, anche condivisibili, come ad esempio quello relativo alla necessità di bloccare ogni ulteriore consumo di suolo per concentrarsi sulla riqualificazione dell’esistente, sulla demolizione e ricostruzione, sulla densificazione.
Ma chi teorizza in ogni occasione questa prospettiva ha mai provato a confrontarsi concretamente con le difficoltà burocratiche che si incontrano quando si vuol riqualificare pezzi di città, quando si prova a demolire e ricostruire edilizia fatiscente? Si è mai imbattuto, solo per fare qualche esempio, in concetti normativi incomprensibili come quelli che obbligano a ricostruire un edificio abbattuto, privo di qualsiasi qualità e pensiero, mantenendone la “sagoma”, sostantivo quanto mai vago e di difficile interpretazione?
Si vuole favorire l’intervento sull’esistente ma non si fa nulla, sul piano delle regole, per incentivare questo processo. Al contrario si continua ad inventare procedure e vincoli che scoraggiano.
Provate a leggervi le Norme Tecniche di Attuazione di qualche piano regolatore recente e poi ditemi se siete riusciti a capire come si fa a riqualificare.
Non sto qui proponendo forme selvagge di deregolamentazione del sistema. Non è questa la strada. I tentativi compiuti con il cosiddetto piano casa sono completamente falliti.
Sostengo invece la necessità di avviare un profondo cambiamento del modello culturale e politico che è sotteso all’attuale sistema di regole e procedure.
E su questo l’IN/ARCH, con i suoi progettisti, i suoi imprenditori, i suoi uomini di cultura, ha il dovere di impegnarsi. Capiremo insieme come, se cambiando il Testo unico per l’edilizia o proponendo una nuova legge urbanistica nazionale o altro. Ma dobbiamo sapere che su questo terreno il nostro Istituto deve spendere le sue energie e la sua capacità di elaborazione.
Dobbiamo farlo anche perché il risultato di questo sistema, come dicevo prima, non è solo l’immobilismo.
E’, in modo speculare e forse voluto, l’esaltazione della deroga quale unica via di uscita da regole impossibili, è il dilagare dell’abuso diffuso.
Anche perché all’abuso per speculazione ed all’abuso per necessità dobbiamo aggiungere una nuova categoria nel nostro paese: l’abuso per disperazione.
Mai come oggi ha senso la verità proclamata da Voltaire: “Le leggi inutili indeboliscono quelle necessarie”.
Sulla barriera delle procedure si infrange qualsiasi altro ragionamento:
sull’architettura, sulla qualità, sull’urbanistica, sulla felicità dei popoli e quant’altro.
L’eccesso di burocrazia e di procedure sadicamente complesse e poco chiare, distoglie l’attenzione da tutto il resto: non si progetta più per produrre spazi di vita che consentano di dare risposte alle esigenze dei cittadini per farli vivere meglio: si progetta per rispondere solo alle esigenze delle procedure.
In tutto ciò irrompe prepotente la componente tempo, prima vittima delle leggi e delle procedure inutili.
Il tempo non è una variabile indipendente, come pensano i tanti burocrati delle pubbliche amministrazioni.
Pesa come un macigno sulla qualità dell’architettura, sulla pianificazione, sullo sviluppo economico, sulla società.
Posso avere in mano il miglior progetto di trasformazione urbana del mondo, il più attento alla sostenibilità, al contesto fisico e sociale, alla fattibilità economica, all’innovazione tecnologica ecc. ecc.
Ma se lo realizzo dopo 20 anni dalla sua concezione diventerà comunque un progetto sbagliato!
Operatori immobiliari, investitori, costruttori, progettisti quando e se riescono a raggiungere la fine del labirinto burocratico per realizzare un intervento non hanno più né la forza né la voglia né le risorse per occuparsi della qualità dell’Architettura.
Ma come è possibile che nessuno si renda conto di come questa macchina infernale che è stata costruita tra vincoli e procedure è la strada sbagliata che ha prodotto degrado e devastazione del territorio? ……..
Voglio qui citare la sequenza logica che in tante occasioni il nostro “saggio”, l’ingegner Odorisio ha espresso.
Un sequenza capace di offrire un quadro straordinariamente sintetico della nostra realtà:
l’architettura è stata uccisa dall’urbanistica. L’urbanistica è stata uccisa da una presunta tutela del paesaggio. Architettura, urbanistica e paesaggio sono stati uccisi da inutili procedure ed autocompiacenti regole burocratiche.
La domanda che sorge immediata è questa: chi è l’assassino?
La risposta non è semplice. Ma forse nessuno di noi può sentirsi immune. Ciascuno di noi qualche coltellata, nel tempo, l’ha data.
Delle responsabilità della politica e dei pubblici amministratori ho già detto. Ma dobbiamo confessarci anche le responsabilità del mondo dei progettisti, degli urbanisti, dei pianificatori “illuminati” troppo spesso imprigionati da una sorta di super io disciplinare che li ha resi incapaci di confrontarsi con la realtà, con la necessaria mediazione dei conflitti che è insita in ogni processo di trasformazione fisica.

Adolfo Guzzini

martedì 8 novembre 2011

La proposta di Inarsind per Arezzo dopo la denuncia dell'assessore Dringoli


I toni di scontro con l'amministrazione
non sono contenuti nel testo inviato al giornale.
La foto (pescata nel Web) è stata
una iniziativa della redazione del giornale.
Testo originale dell'intervista:


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Il Sindaco ha ragione a preoccuparsi del “Castro bomba a orologeria” e così facendo spara contro decenni di malgoverno di chi ha costruito il Pantano e propone una “commissione”. Ma è d’obbligo a questo punto ricordare il famoso aforisma inglese: “Il Cammello è il risultato di una commissione che voleva fare un Cavallo!”.
Il rischio esondazioni si risolve trovando le risorse con un nuovo Regolamento Urbanistico. Se il RU funziona,  si potranno disinnescare anche le “bombe” Castro e Bicchieraia, prendendo i classici “due piccioni con una fava”.
Per prima cosa, quindi, non commissioni “Castro” ma “ripulitura” del RU dal quel “Pantano” burocratico, più volte denunciato, che danneggia non solo il tessuto economico dei privati cittadini ma anche il Comune che non riscuote gli Oneri.
Gli Oneri, è bene ricordarlo, sono quelli che servono al comune per fare anche opere come le casse di espansione per Castro e Bicchieraia.
L’assessore Dringoli dice che i progetti delle casse di espansone ci sono ma i soldi no, quantificati in 5 milioni di euro. Cifra grossa ma non impossibile. E allora come reperire fondi e dare una risposta di concretezza? Bisogna rinunciare all’insana volontà di rifare il Piano strutturale, e rifare invece subito quella parte di RU che riguarda il patrimonio edilizio esistente, (art. 55 c. 1 LR 1/2005). Solo quella parte ben distinta e non la disciplina delle trasformazioni (nuove costruzioni) che invece richiede più tempo e un dibattito in tutta la città. Rifare questa parte di RU potrà essere breve, riscrivendo completamente le Norme, con un’operazione di chirurgia dell’obesità burocratica. E’ chiara la relazione tra  questa proposta e le casse d’espansione? La relazione sta nel fatto che l’amministrazione dovrà impegnarsi a destinare gran parte degli introiti degli Oneri proprio a quello scopo, dando così un segno forte e concreto della volontà di risolvere il  problema. Col rifacimento del RU per il patrimonio edilizio esistente, cittadini e aziende potranno ingrandire la propria casa e la propria fabbrica con semplicità e, oltre alle Casse di Espansione, si darà un po’ di fiato a moltissimi privati, a molti professionisti, agli idraulici, ai muratori, imbianchini, elettricisti ecc. ecc.
Quindi, rifacimento del nuovo RU e variante contestuale al Piano Strutturale evitando di iniziare un lungo e incerto iter, per uno strumento (Il piano Strutturale) che una Regione responsabile dovrebbe eliminare o quanto meno semplificare abolendo la doppia lettura.
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L’amministrazione ha un’occasione di fare due cose utili legandole vicendevolmente  dimostrando, aldilà dei sentimenti e delle parole, di avere a cuore sicurezza idraulica  e sopravvivenza del vasto tessuto economico legato all’edilizia. ""

L'assessore Dringoli denuncia: "Castro bomba a orologeria pronta ad esplodere"

In realtà non sono state richieste le dimissioni (come sinteticamente titolato dal giornale La Nazione) ma piuttosto è stato suggerito di rafforzare la denuncia con un "atto di estrema coerenza dimostrativa", visto che il problema sollevato dall'assessore è di "sicurezza" dei cittadini.
Inoltre si è trattato di Rischio Idraulico e non "idrico".


Testo originale dell'intervista:


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Domenica 6 novembre in Cronaca di Arezzo è riportato l’allarme dell’Ass. Dringoli sull’ “Altissimo rischio alluvione in città” e sul  “Castro bomba a orologeria”. Problemi serissimi affrontati non a caso per l’anniversario dell’alluvione di Firenze e con le inondazioni in atto tra Genova e la Lunigiana.
Per affrontare il problema di Arezzo è necessario, però, fare alcune considerazioni iniziali.
Nei commenti di stampa sui tragici eventi prevale l’idea di ineluttabilità e di anomalia delle precipitazioni e non si è sentito mai parlare esplicitamente di Enti Pubblici “incapaci” di gestire il proprio territorio.
La Toscana, dopo il 1966,non ha ancora messo in sicurezza l’Arno. Il Comune di Arezzo, col nuovo RU, non ha affrontato il problema del Castro.
La burocrazia elefantiaca Regionale rispetta la natura solo a parole. Le leggi regionali di regolamentazione del territorio sono sempre più complicate, incomprensibili e illeggibili perfino per i tecnici del settore. Le energie sono spese per una sterile burocrazia e non per "ubbidire alla natura".
Due esempi lampanti di burocrazia. Per riaprire una porta interna in un edificio si deve compilare una S.C.I.A che, oltre alle estenuanti dichiarazioni, controdichiarazioni e certificazioni, contiene 118 caselline (contate una ad una) da selezionare o deselezionare (e, se sbagli, ti denunciano). Il RU aretino contiene norme come questa: “I nuovi percorsi pedonali devono garantire il passaggio e la sosta di persone” (SIC !)
Se vogliamo affrontare il problema primario della sicurezza del territorio, occorre, per prima cosa, l’eliminazione della "mania" leguleio-regolamentativa degli apparati regionali e comunali. Mania che rimane tutta fine a se stessa e con la quale non ci si accorge che si costruisce ANCORA negli ambiti fluviali e che i corsi d’acqua hanno bisogno di ripuliture.
Oggi, se togli un tronco che ostruisce l’alveo di un torrente ti condannano penalmente perché una  sciagurata legge lo proibisce in modo “indiscriminato”.  L’estrazione della ghiaia dai corsi d’acqua è proibita con la conseguenza che il materiale via via accumulato intasa i fiumi che poi, per forza, esondano.
Dringoli, per spiegare il flop delle casse di espansione del Castro, parla di problemi di finanza e di burocrazia come “ostacolo invalicabile”.L’assessore fa parte della Giunta che ha approvato un RU dove si sono spesi centinaia di migliaia di euro per norme soltanto burocratiche. Ci fa piacere che in questa occasione dica cose che Inarsind va dicendo da molto tempo. Infine riteniamo che Dringoli potrebbe rafforzare la sua denuncia con un grande atto di estrema coerenza dimostrativa: rassegnare le sue dimissioni.
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lunedì 10 ottobre 2011

SUL COMUNICATO DEGLI ORDINI PER IL REGOLAMENTO URBANISTICO DI AREZZO


Pubblichiamo il comunicato degli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri e del Collegio dei Geometri apparso, a pagamento e con un commento del giornale, su La Nazione di domenica 9 ottobre.

Ne condividiamo i contenuti generali anche perché sono gli stessi che INARSIND, con 200 firme di professionisti, ha denunciato subito dopo l’adozione del RU, quando era già evidente a tutti quale sarebbe stato il risultato e quindi non possiamo che rallegrarci del fatto che gli Ordini siano arrivati alle medesime conclusioni.
Abbiamo apprezzato la volontà e lo sforzo degli Ordini in merito alle osservazioni, ma sappiamo tutti che nemmeno duemilaseicento osservazioni accolte avrebbero potuto migliorare di molto un piano talmente aggrovigliato da risultare inemendabile.

Del documento non condividiamo invece gli obiettivi enunciati. Noi riteniamo che sia necessaria una Variante Generale al RU non solo per le PAT o  per le AT o per questo o quel caso, ma per la mancanza di una struttura stessa del piano, di un disegno complessivo, di un'idea di città e per l'impianto normativo che resta indecifrabile e oscuro e dovrà essere completamente riscritto, smagrito e reso leggibile e non soggetto a mille interpretazioni possibili.

Non esistono parti buone e parti meno buone in questo Regolamento Urbanistico e l’ultima Legge Regionale ha affossato una delle poche cose che potevano funzionare.
Non condividiamo nemmeno il rito di apertura di “Tavoli”, che in passato non ha prodotto alcun risultato e non può garantire in alcun modo l’auspicata terzietà.  

Purtroppo i “tavoli veri” non potranno che essere quelli che ciascun professionista  sarà costretto ad aprire personalmente con i tecnici degli uffici edilizia: a questo ci costringe l'impossibilità di risolvere qualsiasi problema, dai più piccoli ai più grandi, in quel guazzabuglio inestricabile delle NTA.
E' una condizione che ci umilia tutti ma che è divenuta inevitabile, e non sono risolvibili al “Tavolo” l’infinità di casi possibili, in modo tale da escludere l'errore e quindi la denuncia, con le sanzioni anche aggravate dalle ultime norme. 
Il metodo dei “Tavoli”, inoltre, è divenuto un rito opaco che in sostanza rischia di essere utile solo a chi vi partecipa, contro ogni buona intenzione che noi non mettiamo in discussione.

Quindi, pur sapendo che il PRG è costato qualche milione di euro e che le finanze locali sono allo stremo, non resta che mettere mano ad un nuovo piano.
Occorre che l'Amministrazione, nella persona del Sindaco, prenda serenamente atto di questa situazione.
In alternativa non restano che le deprecate varianti, vale a dire il piano trasformato dai privati, inevitabile risultato di strumenti urbanistici sbagliati, astratti, arroganti e fatti a dispetto dei cittadini.

DOCUMENTO ORDINE ARCHITETTI, ORDINE INGEGNERI E COLLEGIO DEI GEOMETRI (La Nazione, 9/10/2011)

Giunti ormai a sei mesi dall'approvazione definitiva dei R.U. e dopo quasi tre mesi dall'inizio dell'applicazione quotidiana dello stesso è giunto il momento per un'analisi delle conseguenze che il R.U. ha sullo sviluppo della città e del suo territorio.

Gli Ordini professionali esprimono un giudizio forte­mente negativo sui Regolamento Urbanistico in vigore. Svolgendo un ruolo di assoluta terzietà, avevano già espresso forti critiche con vari documenti al testo del Regolamento Urbanistico, critiche preventive alla adozio­ne, segnalando i punti critici che si evidenziavano dalle illustrazioni degli indirizzi programmatici negli incontri preliminari, invitando i referenti politici e gli estensori del piano ad una riflessione sulle metodologie applicative.

Dopo l'adozione, proseguendo nell'azione di verifica pun­tuale del testo normativo, avevano segnalato l'illeggibilità delle norme, mal confezionate e di difficile gestione, con continui rimandi da un articolo all'altro in una sorta di gioco dell'oca, la loro imperfezione strutturale con buchi applicativi che ne avrebbero reso difficile la gestio­ne quotidiana non solo per i professionisti e per i funzionari dell'amministrazione, ma soprattutto per i cittadini.
Nel tentativo di correggere questa impostazione ope­rativa, senza entrare nel campo delle scelte di indirizzo urbanistiche, scelte che competevano all'amministra­zione che se ne assumerà ogni responsabilità politica, gli Ordini professionali avevano segnalato, articolo per articolo, le problematiche funzionali, indicando le incongruità, gli errori, le errate valutazone quantitative e numeriche, ricevendo negli incontri avuti con gli amministratori e i tecnici, ampi consensi sulla neces­sità di adeguamenti e correzioni.

Le osservazioni presentate dagli ordini, oltre 60 artico­late praticamente sull'intero testo normativo, stanno a dimostrare la dedizione alla causa. Oggi purtroppo emerge agli occhi di tutti gli addetti ai lavori ed ormai anche ai semplici cittadini come la ste­sura definitiva del Regolamento Urbanistico abbia disatteso completamente le aspettative di correzione e modifica prospettate, compromettendo ulteriormente l'attività edilizia urbanistica dell'intera comunità costi­tuita non solo dai professionisti ma anche dagli opera­tori economici e da tutti i cittadini. 

Dal punto di vista dello sviluppo urbanistico sarà necessario al più presto riprendere il dibattito cultura­le sulle grandi aree e sugli interventi strategici, dibat­tito culturale che è stato praticamente assente e che è fondamentale per una corretta e completa programmazione per lo sviluppo della città e per le scelte del­l'indirizzo da dare al futuro di Arezzo.

Sarà necessario inoltre dare chiarezza ad alcuni punti salienti del Regolamento Urbanistico, quali ad esempio le Potenziali Aree di Trasformazione (P.A.T.), che avevano dato l'illusione di un nuovo approccio al problema del recupero e della rigenerazione urbana dell'esistente, ma che ad oggi continuano ad essere un oggetto misterio­so sia per le modalità applicative che per il futuro nel tempo dei diritti edificatori derivanti dalle demolizioni; le Aree di Trasformazione (AT) e Aree di Trasformazione Strategica (A.T.S.) che in molti casi risultano inattuabili e che renderanno necessario avviare un percorso di Variante al Regolamento Urbanistico per il quale è indispensabile aprire un confronto aperto alla città.

Dal punto di vista edilizio, come era stato più volte segnalato nel tempo, i dubbi interpretativi che emer­gono nell'applicazione del Regolamento Urbanistico sono numerosissimi e gli operatori dell'amministrazio­ne, che sono chiamati a rispondere quotidianamente alle richieste di professionisti e cittadini, si trovano nel­l'impossibilità di dare risposte certe ed univoche e sono costretti a limitarsi spesso a recepire i quesiti rinviando le risposte quotidianamente dopo approfondimenti il cui iter procedurale appare nebuloso in relazione alle specifiche competenze.

Tale incertezza applicativa ed interpretativa è interve­nuta per altro in una fase di modifica della normativa nazionale e regionale con l'entrata in vigore della S.C.I.A. e del silenzio assenso sul Permesso a Costruire.

Tale normativa responsabilizza ulteriormente i proget­tisti che dovranno certificare la rispondenza degli inter­venti a tutte le normative vigenti, ivi compresi ovvia­mente anche gli strumenti e atti comunali approvati.
I professionisti sono costretti ad accollarsi questo ulte­riore livello di responsabilità, ma pretendono come contropartita norme certe, chiare, non interpretabili ma solo applicabili.

In assenza di ciò richiedono di atti­vare un continuo e costante confronto con l'ammini­strazione e con i suoi tecnici, con la costituzione di un Tavolo di monitoraggio e con la massima pubblicità e trasparenza alle evoluzioni interpretative che nel tempo verranno a maturarsi e con l'attivazione di un servizio di preistruttoria per un confronto preliminare documentato sulle problematiche degli interventi.
Tutto ciò nell'interesse non solo dei professionisti ma anche e soprattutto di tutti i cittadini che chiedono certezze sui loro diritti.

martedì 20 settembre 2011

PRIME INDICAZIONI INTERPRETATIVE DELLA L.R. 40/2011

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Il Direttore dell'Ufficio Edilizia del Comune di Arezzo Architetto Roberto Calussi, ci ha trasmesso questo documento in cui fornisce le prime indicazioni interpretative sulla legge 40/2011. Il titolo stesso fa comprendere che non tutto è ancora completamente chiaro.
Pubblichiamo volentieri questo documento anche se non consideriamo affatto chiuso l'argomento.
Tuttavia è bene che i colleghi dispongano degli elementi necessari per potersi orientare in questa materia sempre più ingarbugliata e in continuo divenire.
Inevitabile constatare che in un momento di grave crisi economica generalizzata si debbano disperdere energie nell'esegesi di leggi concepite male e scritte peggio. Non è certamente un bel segnale che la classe politica tutta trasmette ai cittadini.
Invitiamo i colleghi a lasciare commenti che potrebbero tornare utili per le prossime iniziative.



Arezzo 14 settembre 2011
Prot. 98899/ M. 03/2011
OGGETTO - Entrata in vigore della L.R. 4012011, prime indicazioni interpretative.


Il 25 agosto 2011, con l'entrata in vigore della L.R. 40/2011, modificativa della L.R. 01/2005, la Regione Toscana ha adeguato il proprio testo unico dell'edilizia alla L. 106/2011.
Prima sostanziale modifica è la soppressione dell'istituto giuridico della Denuncia di inizio attività (DIA), sostituito dalla Segnalazione Certificata di Inizio attività (SCIA).
Le modifiche hanno interessato anche la definizione degli interventi edilizi, in particolare la "ristrutturazione edilizia".
Stante il mutato quadro normativo, si è posta la necessità di interpretare alcuni aspetti specifici della legge, con riferimento agli atti di governo del territorio vigenti che disciplinano l'attività edilizia, in particolare per quanto riguarda:
1) La nozione di ristrutturazione edilizia, con particolare riferimento alle addizioni funzionali ed alle pertinenze;
2) Il rapporto fra i parametri urbanistici indicati dalla legge e quelli del Regolamento Urbanistico (modifica di sagoma, volume, superficie utile lorda)
3) Il termine per l'inizio dei lavori della SCIA;
4) La necessità o meno, di allegare l'autorizzazione del Genio Civile al deposito dei titoli edilizi (SCIA o Permesso di Costruire.
Tali problematiche sono state affrontate in via preliminare dall'Ufficio, ed illustrate nell'incontro tenuto il 1 settembre 2011, con i rappresentanti degli ordini professionali.
Si riportano di seguito le considerazioni che sono state espresse in tale incontro, che vengono assunte dall'Ufficio come prime indicazioni operative, per l'applicazione della legge.

1) Nozione di ristrutturazione edilizia, con particolare riferimento alle addizioni funzionali ed alle pertinenze

L'art. 79 della L.R. 01/05 disciplina le "opere e gli interventi sottoposti a SCIA'; dispone infatti che "sono soggetti a SCIA .... gli interventi di ristrutturazione edilizia, ossia quelli rivolti a trasformare l'organismo edilizio mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente; ... tali interventi comprendono altresì modifiche alla sagoma finalizzate alla realizzazione di addizioni funzionali .... nel limite del 20% del volume esistente.....".
Rispetto alla norma previgente è stato aggiunto che l'addizione funzionale si esplica mediante modifiche alla sagoma di un edificio ed è stato introdotto il limite quantitativo di modifica della sagoma, nella misura del 20% rispetto ai volume esistente; inoltre la realizzazione delle pertinenze è stata scorporata dalla definizione di ristrutturazione edilizia, codificandola come una nuova categoria di intervento, sempre con l'aggiunta del limite quantitativo del 20% rispetto al volume dell'edificio principale.
E' di tutta evidenza che l'art. 79, oltre ad individuare il titolo edilizio abilitativo, definisce anche il concetto di ristrutturazione edilizia, discostandosi, come in passato, dalla definizione del Testo Unico statale (DPR 380/01). E' tile ricordare che secondo il DPR 380/01, tutti gli ampliamenti sono ricondotti alla categoria della nuova costruzione, quindi soggetti al rilascio del Permesso di Costruire, ad eccezione delle "pertinenze" che abbiano consistenza non superiore al 20% del volume esistente. L'impianto sanzionatorio del DPR 380/01 dispone la rilevanza penale se tali interventi sono eseguiti in assenza del Permesso di Costruire (ovvero di altri titoli eventualmente introdotti dalle discipline regionali).
L'art. 78 della L.R. 01/05 assoggetta al rilascio di Permesso di Costruire le "addizioni volumetriche agli edifici esistenti non assimilate alla ristrutturazione edilizia"

Stante la definizione residuale dell'art. 78 della LR. 01/2005, gli interventi di "ampliamento" che non rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia (ovvero le modifiche alla sagoma eccedenti il 20% del volume esistente), non possono che essere ricondotti alla categoria dell'addizione volumetrica.

Per quanto riguarda poi i relativi titoli legittimanti, è individuata la SCIA per gli ampliamenti classificabili nella nozione di ristrutturazione edilizia, ed il permesso di costruire per gli ampliamenti classificati come addizione volumetrica.
Si ricorda che la Regione Toscana, con la Circolare applicativa del condono edilizio 2004, ha precisato che gli ampliamenti rientrano nella categoria della ristrutturazione edilizia se sono funzionali ad un organismo esistente e se non determinano la costituzione di un nuovo organismo. Tali requisiti sono soddisfatti se gli ampliamenti sono limitati, se non aumenta il numero delle unità immobiliari e se non cambia la destinazione d'uso.

Il Regolamento Urbanistico è stato adottato ed approvato con il precedente impianto normativa, ove all'art. 79 della L.R. 01/05 non era fissato un limite quantitativo delle addizioni funzionali.
L'alt. 36 delle NTA del Regolamento Urbanistico dispone al comma 2 che " le addizioni funzionali di cui alla lettera d), punta 3 del comma 2 dell'art. 79 della L.R. 01/05, non possono comportare nel loro complesso un incremento di sul superiore a mq 30 mq 40, ... mq 60 ..."
Occorre quindi chiarire se le previsioni del R.U. sono divenute inefficaci qualora l'addizione superi il 20% del volume esistente. Si tratta cioè di capire se il limite introdotto dalla legge, incide, in riduzione, nei casi in cui l'addizione di superficie prevista dal Regolamento Urbanistico eccede il 20% del volume esistente.

Stante il richiamo puntuale del Regolamento Urbanistico all'articolato della L.R. 01/2005, per effetto della modifica apportata alla legge, si ritiene che le addizioni funzionali sono tali se addizionano Sul in conformità del R.U., e se tale addizione modificativa della sagoma, non supera il 20% del volume esistente.
Nei casi diversi (ad esempio addizione maggiore dei limiti dell'art. 36 del R.U., o modifica di sagoma maggiore del 20%), l'intervento non può che essere ascritto alla categoria dell'addizione volumetrica, ammissibile ove il R.U. prevede tale intervento.

Nell'ambito del territorio rurale, ove sono vietate dalla L.R. 112005 le addizioni volumetriche, di fatto non potranno essere proposte addizioni alla sagoma degli edifici che superano il 20% del volume esistente, contrariamente a quanto disciplinato dal R.U..

Resta inteso che nulla osta alla proposizione in tempi diversi separati interventi di addizione funzionale, a condizione che ciascuno rispetti il limite dei 20%, e che nel complesso sia rispettata la quantità di Sul in addizione (il R.U. ammette espressamente la possibilità di intervenire con più interventi, fatto salvo il rispetto del limite complessivo).

2) Rapporto tra i parametri urbanistici indicati dalla legge e quelli del Regolamento Urbanistico (modifica di sagoma, volume, Sul)

Altri elementi oggetto di interpretazione sono il significato di "modifiche alla sagoma" ed il parametro "volume" indicato dal legislatore per la verifica quantitativa del 20%.
Sia il legislatore statale che quello regionale hanno utilizzato il termine di "modifiche alla sagoma...."
La definizione di sagoma di un edificio è contenuta nel vigente Regolamento Edilizio. Definizione analoga è contenuta anche nella proposta di Regolamento per l'unificazione a livello regionale delle definizioni tecniche e dei parametri urbanistici ed edilizia, ai sensi dell'art. 144 della L.R. 1/2005.

In entrambe le definizioni, nella sagoma di un immobile è compresa sia la porzione di edificio delimitata dai muri perimetrali (cd sagoma primaria del R.E.), sia le porzioni non tamponate, quale ad esempio i porticati (cd sagoma secondaria del R.E.).
Ne consegue che in ipotesi di addizione funzionale che prevede l'incremento di Sul mediante la tamponatura (parziale o totale) di un porticato esistente, stante la non modifica della sagoma, tale intervento risulta escluso dalla verifica quantitativa dei 20% determinata dalla L.R. 1/2005, ferma restando la quantità massima di addizione ammessa dal Regolamento Urbanistico.

Per quanto riguarda invece i[ termine "volume" (... nel limite del 20% del volume esistente ...), si pone il problema di identificare il relativo parametro di riferimento in chiave di Regolamento Urbanistico, ai fini della verifica di legge.
Si tratta cioè di identificare se tale parametro è da riferirsi alla Sul di cui all'articolo 24 delle NTA del R.U., piuttosto che al volume di cui all'art. 29 delle NTA del R.U., ovvero al volume della sagoma di cui all'art. 15 del Regolamento Edilizio.

E' utile ricordare che il dimensionamento del Piano Strutturale è stato definito rispetto alla Superficie utile lorda; ovviamente tale parametro è l'indice edificatorio (territoriale e fondiario) assunto dal Regolamento Urbanistico. Alcune disposizioni della L.R. 1/2005 (ad esempio quelle riferite agli interventi ammessi sul patrimonio edilizio con destinazione d'uso agricola) sono state recepite nel Regolamento Urbanistico "convertendo" il riferimento al "volume" indicato nella legge, con il parametro della Sul.
Si ritiene che la ratio della norma sia quella di individuare la quota di addizione massima ammissibile, in riferimento agli indici edificatori attribuiti dagli strumenti urbanistici, PRG o RU. Non si spiegherebbe diversamente la circostanza che Io stesso articolo 79 prosegue, esonerando alcuni interventi di addizione funzionale (rialzamento del sottotetto....servizi igienici..., volumi tecnici..., autorimesse pertinenziali...) dal computo degli indici di "fabbricabilità fondiaria e territoriali", confermando quindi che il riferimento, indipendentemente dal termine utilizzato, è agli indici edificatori.

Gli strumenti urbanistici comunali in passato hanno sempre utilizzato quale indice edificatorio (fondiario o territoriale) il parametro del volume, quelli più recenti, come quello del Comune di Arezzo, utilizzano invece il parametro della Superficie Utile Lorda (Sul). La definizione di volume di cui all'art. 29 delle NTA determina solo un volume virtuale (il volume si ottiene moltiplicando la Sul per un coefficiente numerico). Il volume ai fini della determinazione della sagoma (art. 15 del R.E.) di un edificio è riferito al volume fisico della figura geometrica, ma non è corrispondente al "peso urbanistico" dell'edificio stesso, dato appunto dalla quantità di SUL (due edifici con SUL diverse potrebbero avere lo stesso volume di sagoma).
L'indice edificatorio a cui riferirsi è quindi quello della Sul del R.U.: pertanto le addizioni sono classificate funzionali, e quindi riconducibili alla tipologia d'intervento della ristrutturazione edilizia, se la Sul in modifica della sagoma dell'immobile, è contenuta entro il 20% della Sul iniziale, e se la Sul in addizione è contenuta entro i limiti fissati dall'art. 36 delle NTA del R.U.

Ne consegue che:
- per i bar, i ristoranti e le strutture turistico ricettive, l'addizione funzionale che modifica la sagoma dell'immobile, finalizzata all'incremento della capacità ricettiva, deve comunque essere contenuta entro il 20% della Sui esistente (anziché il 25% come previsto dal R.U.), e comunque non oltre 60 mq;
- per le attività produttive, l'addizione funzionale che modifica la sagoma dell'immobile deve essere contenuta entro il 10% della Sul esistente, e comunque non oltre 100 mq.;
- negli altri casi, l'addizione funzionale che modifica la sagoma dell'immobile deve essere contenuta entro il 20% della Sul esistente, e comunque non oltre 30/40/60 mq.


Analogamente gli interventi di cui all'art. 79, c. 2, lett. e) della L.R. 01/05 "interventi pertinenziali che comportino la realizzazione.....di un volume aggiuntivo non superiore al 20% del volume dell'edificio principale..." devono essere verificati con il parametro della SUL: quindi le pertinenze non devono incrementare la SUL esistente oltre il 20%. Ne consegue che la realizzazione di pertinenze che sono escluse dalla determinazione della SUL, non incidono sulla determinazione della percentuale.

3) Il termine per l'inizio dei lavori della SCIA

In generale la disciplina edilizia ha sempre delimitato temporalmente il termine entro il quale deve essere dato avvio ai lavori, ed il termine di ultimazione degli stessi.
Per il Permesso di Costruire è fissato il termine per l'inizio dei lavori (entro un anno dal rilascio del permesso) e per la fine degli stessi (entro tre anni dalla data di inizio).
Contenuti analoghi erano presenti anche sulla DIA, in particolare per l'inizio dei lavori (entro un anno dalla data di presentazione).
La legge regionale attribuisce cioè un termine che decorre dalla data di efficacia del titolo edilizio (data di rilascio per il Permesso di Costruire e decorso del termine di 20 giorni per la DIA); l'interessato ha facoltà di intraprendere i lavori fin dalla data di efficacia del titolo, così come può scegliere di iniziare i lavori successivamente, non oltre il limite imposto dalla legge, pena la decadenza del titolo stesso.
Senza entrare nel merito della natura giuridica (atto provvedimentale o privatistico) della DIA e della SCIA, gli strumenti sono analoghi e si basano sul fatto che la conformità dell'intervento edilizio da porre in essere è asseverata da un libero professionista, demandando al Comune la funzione di controllo e verifica. La differenza sostanziale è che l'efficacia della SCIA decorre immediatamente con il deposito della stessa, mentre la DIA diventava efficace decorsi 20 giorni dal deposito.

La norma statale della SCIA (art. 19, c. 2, L. 241/90) dispone che "l'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data di presentazione della segnalazione .. ": è evidente che i lavori possono essere avviati immediatamente, ma non è escluso l'avvio dei lavori in un secondo momento. Il testo della proposta di legge regionale n. 90/2011, poi approvata con L.R. 40/2011, prevedeva espressamente la possibilità che la SCIA, seppure efficace fin dalla data di deposito, poteva essere suscettibile di inizio dei lavori successivamente, entro un anno dalla data di deposito, in coerenza con gli altri titoli edilizi (Permesso di Costruire e DIA).

Il testo approvato non sembra confermare tale facoltà al titolare della SCIA.
L'art. 84 "disciplina della SCIA" , al comma 5, dispone: "la SCIA è sottoposta ad un termine massimo di efficacia pari a tre anni dalla data di presentazione. L'inizio dei favori è contestuale alla presentazione della SCIA..." . La norma dispone altresì che alla SCIA, ove dovuto, deve essere allegato il DURC, e che la mancata presentazione dello stesso rende inefficace la SCIA.

Lo strumento della SCIA è stato introdotto nell'ordinamento al fine di semplificare gli adempimenti burocratici connessi ai procedimenti amministrativi, in modo da poter consentire l'immediato avvio dei lavori. La produzione del DURC implica che l'interessato abbia già individuato la ditta esecutrice dei lavori ed appaltati gli stessi.
Imporre l'obbligo di produzione del DURC contestualmente al deposito della SCIA, pena l'inefficacia della stessa, senza prevedere la possibilità di avviare i lavori in un secondo momento, e quindi di differire la presentazione dei DURC, sembra andare in direzione opposta rispetto alla finalità della legge.

Nella predisposizione della modulistica (luglio 2011), in assenza di specifiche disposizioni legislative, questo Ufficio aveva ritenuto che per la SCIA si applicassero gli stessi termini già previsti per la DIA e per il Permesso di Costruire: tant'è che il modulo prevedeva un'apposita sezione ove si comunicava o l'immediato inizio dei lavori (con allegati i relativi documenti fra cui il DURC), ovvero si differiva la comunicazione di inizio ad una data successiva, comunque entro un anno dal deposito.
II modulo della SCIA è stato nuovamente adeguato a seguito dell'entrata in vigore della L.R. 40/2011, senza però apportare modifiche alla sezione relativa all'inizio dei lavori.
Stante la formulazione dell'art. 84, c. 5, L.R. 1/2005, diventa necessario adeguare immediatamente la modulistica in uso al Comune di Arezzo, imponendo l'obbligo di presentazione del DURC contestualmente al deposito della SCIA.

Nell'incontro con i rappresentanti degli Ordini professionali l'Ufficio ha ricordato che la giurisprudenza ha affermato il principio consolidato che l'inizio dei lavori non può essere riferito solo ad opere preliminari quali la semplice recinzione dell'area, magari eseguita in economia; necessita invece che vi sia un'effettiva attività (uomini e/o mezzi e/o materiali) che dimostri l'effettivo inizio dei lavori rispetto allo specifico titolo legittimante.
Pertanto non può essere assunta come dichiarazione di inizio lavori l'esecuzione in economia delle opere preliminari, quale la recinzione dell'area di cantiere.

4) Sulla necessità di allegare l'autorizzazione del Genio Civile per la formazione dei titoli edilizi.

In generale la legge regionale 01/05 prevedeva (per le DIA ed i permessi) e prevede (per le SUA ed i permessi), che per la formazione del titolo è necessario che la pratica sia corredata di "ogni parere, nulla-osta o atto di assenso comunque denominato necessario per potere eseguire i lavare ...".
Si è posta l'esigenza di chiarire se fra tali atti di assenso sia compresa anche l'autorizzazione del Genio Civile per l'inizio dei lavori nelle zone sismiche.
La dizione letterale della norma potrebbe indurre a ritenere che tale autorizzazione debba essere allegata al deposito della SCIA, o necessaria per il rilascio del Permesso di Costruire.

L'articolo 105, comma 2, della L.R. 01/05 precisa che i titoli abilitativi (SCIA e Permesso di Costruire) possono essere richiesti o rilasciati prima dell'autorizzazione del Genio Civile. Non è pertanto necessario allegare tale autorizzazione ai titoli edilizi.
Costituisce eccezione a tale principio il solo caso in cui l'intervento proposto riguardi un'addizione funzionale oltre 40 mq di Sul (fino a 60 mq), così come disciplinata dall'art. 36, c. 2 delle NTA del R.U.. In questo caso, la dimostrazione che il progetto verifica l'adeguamento dell'edificio esistente alla disciplina antisismica, costituisce il presupposto per il riconoscimento della quantità edificatoria assegnata dal R.U.. Necessita pertanto che il deposito della SCIA sia corredato dell'autorizzazione del Genio civile, ovvero del progetto strutturale dell'edificio, accompagnato dall'asseverazione del professionista che attesta la sussistenza del requisito richiesto.

Il Direttore dell'Ufficio Edilizia
Arch. Roberto Calussi

giovedì 1 settembre 2011

entrata in vigore della L.R. 40/2011 e difficoltà interpretative riscontrate

Arezzo, 31 agosto 2011.

All’Ordine degli Architetti di Arezzo
All’Ordine degli Ingegneri di Arezzo
Al Collegio dei Geometri di Arezzo
Al Direttore dell’Ufficio Edilizia del Comune di Arezzo
All’Assessore all’ Urbanistica, all’edilizia e al centro storico del Comune di Arezzo
Ai Professionisti Tecnici


Oggetto: entrata in vigore della L.R. 40/2011 e difficoltà interpretative riscontrate.


Premessa:
Inarsind fa riferimento alla nota del Direttore dell'Ufficio Edilizia del Comune di Arezzo, inviata All’Ordine degli Architetti di Arezzo e pubblicata nel sito internet.

"Con la presente si comunica che in data odierna è stata pubblicata sul BURT la LR 40/2011, che modifica profondamente la parte edilizia della LR 01/2005, nonchè il "piano Casa" .
Entrerà in vigore il 25 agosto 2011.
Pertanto le DIA che non avranno acquisito efficacia a tale data (ovvero quelle presentate dopo il 4 agosto 2011, o quelle presentate in precedenza ma sospese a tale data), dovranno essere assunte come SCIA, con eventuale conseguente adeguamento documentale.
A seguito della riforma della definizione dell'intervento di ristrutturazione edilizia-addizione funzionale, è verosimile che DIA presentate dopo il 4 agosto, o sospese a tale data, aventi ad oggetto addizioni funzionali 30/40/60 mq e/o opere pertinenziali, non siano conformi alla legge, per cui gli interventi proposti dovranno essere considerati come addizioni volumetriche, con evidenti ripercussioni circa la verifica di fattibilità degli interventi stessi. In particolare nell'ambito del territorio rurale saranno di fatto vietati per espressa previsione di legge. Nell'ambito del territorio urbano dovrà essere presentata richiesta di permesso di costruire (ovviamente in quei tessuti ove sono ammesse le addizioni volumetriche).
Si invitano pertanto tutti i professionisti alle necessarie verifiche preventive di fattibilità, al fine di ridurre il più possibile comunicazioni di diffida o provvedimenti di autotuela.
Si allega il testo della legge.

Cordiali saluti.

Il Direttore dell'Ufficio Edilizia del Comune


La nota è stata pubblicata nel sito dell’Ordine degli Architetti senza commento o presa di posizione.

Inarsind rileva che una interpreazione restrittiva della 40/2011 bloccherebbe, nel comune di Arezzo come in quelli della Provincia, quasi tutte le cosiddette “addizioni funzionali”, in un momento in cui questo tipo di intervento rappresenta l’unica fonte di lavoro per professionisti, imprese, rivenditori di materiali ecc. ecc. con grave danno anche dei tantissimi cittadini che vedono bloccata la possibilità di ampliare la propria abitazione e delle casse comunali che vedono svanire le poche entrate possibili per Oneri e C.C.C..
È da sottolineare, inoltre, che le restrizioni sarebbero del tutto in contraddizione con i principi espressi nel preambolo della legge.

Dal momento che viene usata l’espressione “è verosimile che DIA presentate dopo il 4 agosto... “, l’interpretazione della 40/2011, da parte del Direttore dell'Ufficio Edilizia del Comune di Arezzo, piuttosto che apparire come perentoria e definitiva sembra una utile richiesta di confronto con la categorie economica dei liberi professionisti, iscritti all’Ordine, che dovranno applicare e interpretare la norma, certificandone il rispetto, nelle pratiche di edilizia privata.

Per questo motivo Inarsind di Arezzo ritiene necessario fornire il proprio contributo all’interpretazione della legge.
Le considerazioni che seguono non sono, quindi, valutazioni generali sulla validità e utilità della 40/2011 ma rappresentano soltanto una interpretazione stretta della norma.

Considerazioni di Inarsind.


Le modifiche introdotte alla L.R. 1/2005 dalla 40/2011 sono conseguenza delle disposizioni emanate con D.L. 13/5/2011 n.70.
Le finalità della norma regionale sono elencate nel preambolo e non prevedono di incidere sulla autonomia di governo del proprio territorio da parte dei Comuni. E’ inoltre evidente che non c’è stata intenzione di andare a modificare strumenti urbanistici con particolare riferimento a quelli giunti da poco al completamento del loro iter.
Le modifiche alla L.R. 1/2005, nell’indicare le procedure soggette a SCIA, non costituiscono una “riforma della definizione dell'intervento di ristrutturazione edilizia-addizione funzionale” poiché ciò non è tra le finalità della legge.
Una qualsivoglia definizione di “addizione funzionale” non è menzionata in nessun articolo.
Nella modifica alla L.R. 1/2005 vi è l’indicazione che la SCIA è da utilizzarsi per “modifiche alla sagoma finalizzate alla realizzazione di addizioni funzionali agli organismi edilizi esistenti che non configurino nuovi organismi edilizi, nel limite del 20 per cento del volume esistente” e questa indicazione non può essere certo considerata una nuova e diversa della definizione di “addizione funzionale”.

L’art. 55 non è modificato e invariate rimangono anche le prerogative dei Comuni nella “disciplina della utilizzazione, del recupero e della riqualificazione del patrimonio urbanistico edilizio esistente” (comma 2 lettera c).
La Regione Toscana ha individuato gli interventi soggetti a SCIA o a Permesso di Costruire ma non ha determinato l’entità delle “addizioni funzionali” poiché avrebbe, così facendo, prevaricato la legittima attività dei Comuni, rendendo inefficaci quasi tutti gli strumenti urbanistici comunali, senza specificarne i motivi e senza esplicitazione nel testo di legge. Inoltre, una limitazione dell’entità delle “addizioni funzionali” sarebbe stata in evidente contraddizione con le finalità espresse nel preambolo della legge (“Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente” ... “misure incentivanti a sostegno dell’attività edilizia”).

La L.R. 40/2011, rinnovando i contenuti della 24/2009 (piano casa), prende atto della possibilità, da parte dei singoli R.U., di prevedere ampliamenti funzionali diversi dal 20%.
La 24/2009, all’Art. 3, consente “interventi edilizi di ampliamento di ciascuna unità immobiliare fino al massimo del 20 per cento della superficie utile lorda” e, ai fini del ragionamento che seguirà, indica inoltre tre aspetti importanti:
a) La possibilità di usufruire dell’ampliamento per edifici già costruiti al 31 marzo 2009 (art. 3);
b) La possibilità di usufruire dell’ampliamento solo entro il 31 dicembre 2012 (art. 7 comma 2);
c) Il fatto che: “Gli ampliamenti realizzabili in applicazione degli articoli 3 e 4 non si cumulano con gli ampliamenti consentiti dagli strumenti urbanistici generali o dagli atti di governo del territorio comunali sui medesimi edifici” (art. 5 comma 5).
I punti a) e b) sono relativi alla straordinarietà delle misure urgenti volte al rilancio dell’economia.
Il punto c (come del resto altri punti della legge) prende atto della possibilità dei comuni di prevedere ampliamenti diversi da quelli resi possibili dalla stessa 24/2009.

Da ciò appare logico che la L.R. 40/2011:
• prolungando la validità della 24/2009, accetta che i singoli R.U. possano avere premialità per ampliamenti diversi dal 20%;
• modificando le procedure di cui all’art. 79 della 1/2005 non può negare che i singoli R.U. possano avere premialità per ampliamenti diversi dal 20% poiché, se così facesse, avrebbe una contraddizione interna.

Interpretazione delle modifiche apportate alla L.R. 1 /2005

Con una lettura tesa alla ovvia salvaguardia dei R.U. approvati, si può affermare che:
A. l’art. 79, riformato con la 40/2011, al comma 2, lettera d) punto 3 indica la SCIA per “modifiche alla sagoma finalizzate alla realizzazione di addizioni funzionali agli organismi edilizi esistenti che non configurino nuovi organismi edilizi, nel limite del 20 per cento del volume esistente.”
B. l’art. 79, riformato con la 40/2011, al comma 1, lettera f), indica la SCIA per “ogni altra trasformazione che, in base alla presente legge, non sia soggetta a permesso di costruire.”
C. Dalla lettura congiunta dei punti A e B, e considerando che la legge 40/2011 non vieta le addizioni funzionali superiori al 20%, appare logico che:

• quando i R.U. prevedono addizioni funzionali superiori al 20%, gli interventi sono soggetti a SCIA (art. 79, comma 1, lettera f);
• nei casi in cui i R.U. non prevedono ampliamenti funzionali, la possibilità di aumento del 20%, ex L.R. 24/2009, è da utilizzarsi mediante SCIA (art. 79, comma 2, lettera d, punto 3);

Cordiali saluti
Il Consiglio Direttivo di Inarsind Arezzo

venerdì 26 agosto 2011

LIBERI PROFESSIONISTI E FUNZIONARI PUBBLICI

Lettera ai dirigenti Inarsind

Cari Membri del Comitato Nazionale Inarsind
Cari Presidenti provinciali
Il nostro Segretario nazionale Ing. Francesco Basso, ha scritto un bell’articolo dal titolo “Vero all’alba (e falso al tramonto)” con una esortazione finale:“Non abdichiamo al nostro ruolo, ma raccogliamoci nel Sindacato, per riaffermarlo con forza e per dargli la valorizzazione che merita.”
Come Inarsind Arezzo, vogliamo riproporre quanto già detto a Roma in una riunione dei Presidenti provinciali.
In quella occasione fu sostenuta la necessità di affrontare il problema della legislazione urbanistica ed edilizia, nazionale e regionale.
La differenza tra dipendenti pubblici e liberi professionisti
L’articolo dell’Ing Basso evidenzia (tra le altre cose) la differenza tra dipendenti pubblici e liberi professionisti e, in effetti, bisogna riconoscere che i dipendenti degli enti che gestiscono il territorio (Regioni, Provincie e, in particolare, Comuni) sono sulla trincea opposta rispetto a noi liberi professionisti. Nell’edilizia, nell’urbanistica e nei LL.PP.
Noi interpretiamo la normativa e rilasciamo certificazioni di ogni genere e in grandissimo numero, assumendone le relative responsabilità.
Pensiamo ad una qualunque DIA o SCIA.
Certifichiamo il tipo di lavoro, la presenza o meno di vincoli (cosa estremamente difficoltosa per il numero esuberante delle normative vincolistiche) la necessità o meno di piani sicurezza, la conformità alle norme statali, regionali e comunali, alle norme di igiene, ecc. ecc.
“Absit iniuria verbis”, ma i funzionari comunali Ingegneri o Architetti sono i nostri controllori. Se noi certifichiamo in modo scorretto, loro segnalano la cosa alle autorità competenti per le sanzioni che, ultimamente, si sono sempre più incattivite.
Nei LL.PP. è lo stesso. Loro elaborano i bandi di gara per le progettazioni e troppo spesso lo hanno fatto al massimo ribasso (finchè la norma gli lo ha concesso) in grave danno della nostra dignità e dell’interesse pubblico.
A fine mese loro hanno lo stipendio mentre noi abbiamo scoperto di essere dei precari.
I dipendenti pubblici, quindi, sono nostri avversari. Hanno interessi opposti e si organizzano.
Se la legislazione edilizia ed urbanistica (ma anche dei LL. PP.) risulta macchinosa, burocratica e inconcludente, il funzionario pubblico vedrà aumentare il proprio lavoro, per districare le norme, per disquisire, per raffrontare, per le intersezioni tra leggi, per tirare fuori il “combinato disposto” col quale, come è noto, fai quello che ti pare. Puoi “combinare” leggi, art. commi, paragrafi e anche virgole e punti, dimostrando tutto e il contrario di tutto.
Per noi liberi professionisti tutto ciò è micidiale e distrugge le nostre possibilità di lavoro.
Invece, “se” un funzionario pubblico non ha a cuore l’interesse collettivo (e qui è obbligo mettere il “se”) la burocrazia e l’inefficienza della normativa diventano garanzie di sopravvivenza.
Con la crisi epocale dell’edilizia, il numero di pratiche presso i Comuni è calato vertiginosamente.
L’elefantiaco aumento delle incombenze burocratiche (moltissime delle quali sono inutili) garantisce però che gli stessi funzionari siano sempre occupati, nel proprio posto di lavoro, anche se le pratiche sono ridotte a un quarto.
E così le poche pratiche da noi presentate sono tenute a friggere molto più tempo, in danno non solo nostro ma di tutto il settore economico collegato.
I corsi di aggiornamento professionale
I testi normativi in edilizia e urbanistica sono sempre più complicati e, parallelamente, è ormai invalso l’uso di organizzare, addirittura, corsi di formazione “a pagamento” per spiegare, ai tecnici del settore, come orientarsi e per distribuire attestati.
Corsi che, guarda caso, hanno anche,come docenti, gli stessi soggetti dipendenti pubblici che fanno da consulenti per la scrittura delle leggi. Già, proprio loro che dopo aver contribuito a scriverle in modo “strano”, poi te le spiegano. La legge del mercato (è sicuro) ci dice che più “strani” sono i testi legislativi e più “costosi” sono i corsi di aggiornamento.
“Non ci resta che piangere”? Vi ricordate il gabelliere che diceva “un fiorino”?
Oggi direbbe: “un corso di aggiornamento!”.
La crisi dell’edilizia è “epocale” ma i corsi di aggiornamento proliferano.
Se ne deduce che sono ”troppe” le leggi che servono solo per fare i corsi di aggiornamento.
Nella elaborazione della normativa, i liberi professionisti non vengono interpellati
I Comuni e le Regioni, quando legiferano per il governo del territorio, chiedono consulenza agli Ordini professionali, scambiandoli per organismi di rappresentanza della categoria. Gli Ordini degli Architetti, molto spesso, per esprimersi sulle proposte di legge di contenuto urbanistico ed edilizio, chiedono parere ai tecnici comunali (che sono comunque iscritti agli Ordini).
Le Regioni, quando legiferano, invitano ai tavoli di discussione, oltre agli Ordini, i rappresentanti tecnici dei Comuni (riuniti, per esempio, nelle ANCI).
Il risultato è che i tecnici dipendenti pubblici sono rappresentati due volte mentre i liberi professionisti sono del tutto fuori.
In questo modo i liberi professionisti risultano emarginati nella elaborazione di leggi che poi, per la massima parte, dovranno interpretare, con assunzione di responsabilità civile ben precise e importanti.
Tutto ciò non vuol dire, naturalmente, che tecnici dipendenti e liberi professionisti non possano collaborare, per i rispettivi ruoli, in modo produttivo.
Cosa deve fare il Sindacato?
Come sindacato, dobbiamo chiedere di essere presenti in ogni commissione che riguarda il governo del territorio, da quelle edilizie a quelle che discutono le norme regionali o nazionali.
Quando gli enti legiferanti sono i Comuni, il compito di chiedere e nominare i rappresentanti potrebbe essere dei sindacati provinciali.
Quando gli enti legiferanti sono le Regioni, si dovranno muovere le organizzazioni regionali (Confedertecnica).
Un esempio da sfruttare
Nel campo dei LL. PP., l’art. 4 del DL 70/2011, per la predisposizione dei Bandi da parte delle pubbliche amministrazioni, dice che vanno consultate “le categorie professionali interessate”. Occorre chiarire che gli Architetti e gli Ingegneri dovranno essere rappresentati dai sindacati e non dagli Ordini Professionali. I bandi, infatti, verranno predisposti da tecnici dipendenti di amministrazioni pubbliche che in questo caso saranno controparte dei professionisti che, per la parte progettuale, concorreranno alle gare. Gli Ordini Professionali hanno al loro interno sia i dipendenti pubblici che i liberi professionisti e perciò non potranno rappresentare contemporaneamente “capra e cavolo”.
Forse potrebbe essere utilissimo se Inarsind Nazionale:
• affrontasse questo problema col governo nazionale per affermare i giusti principi di rappresentanza della categoria;
• emanasse un invito a tutte le sedi provinciali Inarsind perché affrontino il problema e descrivano la situazione delle varie regioni d’Italia;
• valutasse l’opportunità di esprimersi, nei confronti dei consigli regionali, sui temi suesposti.
Saluti
Inarsind Arezzo
26 agosto 2011

sabato 6 agosto 2011

COMUNICATO STAMPA DEL CONSIGLIO REGIONALE ... CHE ... DEPISTA!

Si allega di seguito il testo della mail inviata al Consiglio Regionale.

Nel comunicato del 27 luglio in oggetto si dice:
"
Aula
Governo del territorio: riforma legge in agenda a settembre

Astensione tecnica di tutti i gruppi sul testo oggi al voto, impegno a rivedere il provvedimento alla ripresa dell’attività

Firenze – Astensione unanime, da parte del Consiglio toscano, alla proposta di modifica della legge regionale 1/2005 sul governo del territorio. Tale astensione, tecnicamente, respinge la proposta di legge. Che però di fatto verrà recuperata, approfondita e integrata, quando il Consiglio regionale, dopo la pausa estiva, metterà mano alla riforma dell’intera normativa sul governo del territorio. L’Assemblea doveva esprimersi, entro il 5 agosto, a norma di Statuto. Da qui l’astensione tecnica. L’impegno è stato annunciato in Aula da Vittorio Bugli, capogruppo Pd, e sostenuto da tutti i gruppi consiliari. (mc).

"

Il 27 luglio, invece, risulta approvata in aula la LEGGE REGIONALE N. 25/2011 "Modifiche alla legge regionale 3 gennaio 2005, n.1 ".

A nome dei professionisti iscritti al Sindacato Ingegneri Architetti di Arezzo, vorrei sapere come stanno le cose ...

Alessandro Cinelli Architetto Presidente INARSIND Arezzo.

lunedì 4 luglio 2011

Osservazione di Inarsind Arezzo al Piano Complesso di Intervento per l'area Ex Lebole adottato dal C.C. di Arezzo

Arezzo 4 luglio 2011

Al Sindaco del Comune di Arezzo
Piazza della Libertà 1
52100 Arezzo

OGGETTO: OSSERVAZIONE AL PIANO COMPLESSO DI INTERVENTO
“CITTADELLA DEGLI AFFARI” (A.S.I. 3.3 DEL PIANO STRUTTURALE)
adottato nell’adunanza del C.C. del 28/03/2011.

Il sottoscritto Architetto Alessandro Cinelli, nato ad Arezzo il 9/02/1956, residente ad Arezzo in via Guadagnoli 69, C.F. CNLLSN56b09a390L, non in proprio ma in qualità di Presidente di INARSIND Arezzo, Sindacato Nazionale Ingegneri e Architetti, Sezione di Arezzo, con sede in Via Guadagnoli n°69, in relazione all’adozione del Piano Complesso d’Intervento ASI 3.3, Cittadella degli Affari, presenta la seguente osservazione:

OSSERVAZIONE AL PIANO COMPLESSO DI INTERVENTO ASI 3.3, COMPARTO 1, AREA EX LEBOLE
Premessa
Premesso che il PCI dell’area ex Lebole è propedeutico alla redazione di un Piano Attuativo, e perciò non può avere un livello di dettaglio pari a questo, limitandosi ad indicazioni di carattere generale sui criteri da seguire nella redazione del P.A., tuttavia appare evidente che il contenuto di informazioni di questo PCI non è molto superiore a quello del Piano Strutturale, essendo ad esempio del tutto assente, come nel PS stesso, uno studio urbanistico che indichi in maniera almeno schematica, quali dovranno essere le scelte da effettuare per inserire l’area nella trama urbana, in particolare per quanto riguarda il sistema viario.
A nostro parere è invece necessario un salto qualitativo che trasformi realmente l’area da zona specialistica destinata alla produzione a parte integrante della città, dotata di una pluralità di funzioni, le quali necessariamente dovranno avere relazioni con il tessuto urbano circostante.
Manca in particolare nel piano qualsiasi indicazione relativa alle connessioni con gli abitati di Pescaiola, di Fiorentina, con il Centro Affari, con il centro urbano e con la più ampia rete stradale di livello superiore determinata dalla tangenziale e dalla via Fratelli Lebole.
Senza queste indicazioni, preliminari a qualsiasi piano di questa importanza, e proprio perché tali indicazioni mancano del tutto anche nel PS, l’area viene ridotta al livello di una normale e modesta lottizzazione in cui ciò che conta sembrano essere solo le quantità edificatorie, le funzioni, l’indicazione degli standard di verde e parcheggi, una generica richiesta di qualità architettonica pur in presenza, invece, di una scelta tipologica molto forte, impegnativa, dirompente rispetto al paesaggio urbano, e a nostro avviso, sbagliata nelle motivazioni e nel risultato finale, quale quella della verticalità degli edifici residenziali e direzionali.
Se è vero che un PCI nasce dal rapporto pubblico-privato, con l’intenzione, tutta da verificare nei risultati, di redigere un piano che sia effettivamente in grado di armonizzare le esigenze della città, per la parte pubblica, con quelle dell’investitore o degli investitori, per la parte privata, è tuttavia vero che in questo piano il soggetto pubblico, cioè l’Amministrazione Comunale, sembra aver rinunciato alla scelta di indicare una soluzione idonea per la città. L’unica scelta riguarda, appunto, la verticalità, il cambiamento totale di prospettiva nell’ambito di una visione del paesaggio urbano di una città storica come Arezzo passata quasi indenne, salvo eccezioni non proprio esaltanti, alla moda degli edifici alti. E, in verità, anche questa scelta viene giustificata con argomentazioni non solo deboli ma sbagliate nella sostanza, come meglio osserveremo successivamente.
Se è altresì vero che questo PCI non è piano attuativo ma strumento intermedio a questo propedeutico in cui devono necessariamente essere lasciati margini di flessibilità per evitare di porre vincoli che potrebbero inficiare le scelte successive, è altrettanto vero che, in base a quanto precedentemente espresso, sembra mancare anche la prefigurazione di un’idea del ruolo che si intende attribuire all’area, e la mancanza di alcuna indicazione progettuale del tipo di relazione tra l’area stessa e il resto della città ne è la prova più lampante.
Noi riteniamo invece che l’area ex Lebole, in mancanza della possibilità di poter continuare con un’attività produttiva se non pari almeno paragonabile a quella precedente in termini di occupazione, debba qualificarsi come parte integrante della città e come tale debba trasformarsi in un intervento che abbia, nei numeri certo, ma soprattutto nella forma urbana, tutte le caratteristiche tipiche della città tradizionalmente intesa, con una rete viaria permeabile e accessibile dalle aree limitrofe, con isolati edificati a bordo strada, con una grande pluralità di funzioni non tutte rigidamente preordinate, con un disegno pienamente e realmente urbano. Un quartiere che non crei alcuna concorrenzialità al centro storico mediante l’inserimento di grandi centri commerciali ma che invece sia capace di fare concorrenza virtuosa anche al centro storico in termini di vivibilità per i cittadini che in esso lavoreranno o risiederanno e per quelli dei quartieri limitrofi, senza sottovalutare l’importanza che esso potrà assumere come area a supporto degli utenti del Centro Affari e Convegni, in termini di servizi avanzati, accoglienza e ricettività.
Di tutto questo non si riscontra traccia negli elaborati grafici e non si riscontra neppure nelle norme, che si limitano appunto ai dati precedentemente esposti e a quelli che seguiranno con i vari punti delle osservazioni.
La stessa idea di “porta” della città, certamente pertinente, viene di fatto smentita dall’indicazione di porre un parco lungo il Viale Salvemini. Quale immagine urbana può avere un’area che si presenta dietro ad un parco? Il parco isola e separa ancora di più l’area dalla viabilità, mentre sarebbe opportuno fare del tratto di via Salvemini antistante la ex Lebole una strada urbana. Allora sì che un’architettura di qualità contribuirebbe a fare della ex Lebole la nuova Porta di Arezzo dall’autostrada.

Con questa premessa di carattere generale si osservano i seguenti punti:

Osservazione n° 1
Si osserva l’assoluta incongruenza di una Scheda Norma che indica in maniera precisa il numero dei lotti, con tanto di classificazione puntuale degli stessi, con l’indicazione per ciascuno di essi delle quantità edificatorie e delle destinazioni, addirittura con gli interventi edilizi ammissibili su ciascun lotto, come nel Lotto C1.1, l’unico in cui è prevista la ristrutturazione, ma in assenza totale di un allegato grafico che richiami nel disegno i lotti stessi, per cui risulta semplicemente impossibile capire a cosa ci si riferisca. Dove, cosa e quanto sarà possibile ristrutturare, ad esempio, se è impossibile individuare il manufatto oggetto di ristrutturazione? Dove sono collocati i vari lotti le cui quantità e destinazioni sono dettagliatamente descritti?
Non solo: al punto Articolazione in lotti, si indica in nove il numero massimo dei lotti, esattamente quanti sono quelli classificati e descritti nelle Norme. La domanda è: nel caso in cui nel Piano Attuativo successivo si decidesse di prevederne un numero inferiore, il che è evidentemente consentito, come potranno e dovranno essere ridistribuite la quantità edificatorie e le funzioni previste? Certamente non in maniera proporzionale, dato che all’Art. 2, punto 8 si prescrivono “limitati trasferimenti di capacità edificatorie tra comparti e tra i lotti” e dato inoltre che un Piano Attuativo non viene progettato in base a meri criteri di tipo matematico-ragionieristico, ma in base ad un studio di tipo urbanistico che può portare a differenze tra un lotto ed un altro in funzione della loro collocazione rispetto a viabilità di importanza gerarchica diversa.
E’ del tutto evidente la gravità di questa mancata corrispondenza tra indicazione normativa e disegno e tale da rendere il Piano Complesso di fatto non leggibile proprio nell’unica parte approfondita, cioè quantità e funzioni, e quindi con un errore tale da rasentare l’illegittimità. Risulta infatti difficile, se non impossibile, in un documento indeterminato, fare osservazioni su ciò che si dichiara per scritto esserci ma effettivamente non c’è. E’ come se in un PRG tradizionale avessimo una legenda di retini con specifiche norme ma le carte fossero prive dei retini stessi.
Una situazione di questo genere da sola, ancorché sanata con un apposito disegno, potrebbe determinare, a nostro avviso, un messa in discussione del PCI e una sua nuova adozione, potendosi affermare serenamente che in queste condizioni il Piano Complesso d’Intervento è incompleto proprio rispetto alla sua logica interna, a prescindere dai contenuti.
Si richiede quindi:
• che vengano disegnati i lotti su apposito elaborato grafico
• che il disegno dei lotti, che potranno essere formati a loro volta da uno o più isolati, sia improntato ad una forma generata dal tessuto viario principale come meglio specificato nella osservazione n° 2
• che le quantità edificatorie e le destinazioni d’uso non siano specificate in maniera puntuale lotto per lotto ma che si indichino, al massimo, eventuali valori limite per funzione che potranno avere alcuni lotti. Ciò allo scopo evidente di non creare pericolosi e non desiderabili vuoti normativi che lascerebbero ampi margini di discrezionalità nel giudizio, nel caso di diminuzione del numero dei lotti.

Osservazione n° 2
Si richiede che vengano individuate, non in maniera precisa quanto a posizionamento e a dimensioni, ma a livello di linee guida, le viabilità di collegamento con il quartiere di Pescaiola, con quello di Fiorentina, con il Centro Affari e Convegni, con il centro urbano, con l’adiacente via Galvani. Dovrebbero inoltre essere indicate le direzioni di ingresso e di uscita nell’area dal raccordo e le relazioni con questo e con la via Fratelli Lebole. La rete dei collegamenti con la città sarà l’elemento generatore del disegno dei lotti - intesi in senso normativo - e degli isolati - intesi come elemento urbanistico e architettonico del piano. Il disegno preciso della viabilità potrà essere oggetto di modifica e studio più approfondito nel successivo Piano Attuativo. Attuando queste misure il PCI potrà prefigurare un’idea, ancorché generale e non dettagliata, di nuovo quartiere urbano, cosa attualmente del tutto mancante e che non può essere demandato a tempi successivi, pena la sostanziale inutilità di questo passaggio amministrativo.

Osservazione n° 3
Si richiede di limitare l’altezza massima di zona a m 30-35, largamente sufficienti a dotare l’area di qualche edificio-simbolo capace di “segnalare” l’importanza del progetto, senza per questo stravolgere il profilo della città con “oggetti” architettonici che entrino in concorrenza con quelli del centro storico, essendo edifici di 75 metri visibili e percepibili quasi da ogni parte della piana di Arezzo.
La motivazione addotta per la scelta della verticalità, quella cioè che gli edifici che si sviluppano in altezza “riducano l’attuale uso del suolo” è del tutto inconsistente. Si confonde l’uso del suolo con la superficie coperta, laddove poi si prescrivono di realizzare oltre 3 ettari di parcheggi interrati, vale a dire un edificio di 3 ettari sotto terra, illudendosi forse che al piano di campagna si possa realizzare del verde, non tenendo conto delle necessarie aperture di ventilazione e dei problemi che comportano la manutenzione di sistemi di questo genere.
Inoltre gli edifici che definiamo per semplicità “grattacieli”, data la distanza che devono mantenere rispetto agli altri, determinano spazi non di tipo urbano, grandi vuoti destinati all’abbandono e al degrado e sono la negazione stessa della città, proprio nella forma che si sottende con queste norme, vale a dire edifici alti in mezzo al verde. Questa idea da Ville Radieuse ha ormai dichiarato fallimento, andando l’urbanistica contemporanea verso una città compatta, che consente spostamenti pedonali in un ambiente urbano ricco e gradevole. La nuova frontiera della sostenibilità urbanistica è proprio l’alta densità che consente il vero “ risparmio di suolo”, cioè la minore espansione nelle aree agricole. Questo è anche quanto affermato recentemente dall’Assessore Regionale all’Urbanistica Prof. Anna Marson in un documento pubblicato nel sito della Regione Toscana.
Inoltre i “grattacieli” sono per loro natura, gli edifici meno sostenibili dal punto di vista del risparmio energetico, essendo all’opposto totalmente dipendenti dall’energia, dal movimento delle persone a quello dei fluidi, al riscaldamento e raffrescamento. La leggenda in base alla quale si progetterebbero grattacieli autonomi energicamente è, appunto, una leggenda , dato che quello che conta è il consumo a mq di edificio e non il complesso. Il grattacielo è un edificio che è necessariamente protetto esternamente da materiali leggeri ed è perciò privo di massa muraria e quindi, in regime delle temperature non stazionario, totalmente dipendente da apporti di energia esterna per riscaldamento invernale e soprattutto estivo. L’”effetto baracca” è tipico di questo tipo di edificio. Lo sanno bene tutti coloro che hanno uffici rivestiti con materiali di basso spessore e massa insignificante, anche se con un grado di isolamento termico che rispetta la legge.
La scelta del tipo “grattacielo” è la meno ecocompatibile e sostenibile che si possa immaginare.

Firmato:

Alessandro Cinelli Architetto, Presidente Inarsind Arezzo.

Pietro Pagliardini Architetto, Segretario Inarsind Arezzo.

sabato 21 maggio 2011

L'ASSESSORE ANNA MARSON E LA RIFORMA DELLA LEGGE URBANISTICA REGIONALE

Nell'ambito delle manifestazioni per le recenti elezioni amministrative del Comune di Arezzo, è intervenuto l'assessore regionale all'urbanistica Prof.ssa Anna Marson, chiamata dall'Italia dei Valori, specificamente dal Consigliere Regionale Avv. Marco Manneschi.
Siamo stati invitati insieme agli Ordini e alle categorie economiche e abbiamo partecipato di buon grado, per poter discutere con l'assessore ed esprimerle il disagio della nostra categoria di fronte alle storture della Legge Urbanistica 1/2005.
Abbiamo fatto bene ad andare perché la serata non ha avuto niente di "direttamente" elettorale, è stato dato ampio spazio di discussione a tutti e l'assessore ha affrontato i problemi senza nascondersi, come talvolta fanno i politici, dietro tatticismi o giri di parole.

Era presente, in qualità di candidato, anche il nostro collega Arch. Remo Polezzi, del quale si dà conto con un video limitato ad una sola parte dell'intervento.
L'Arch. Alessandro Cinelli, Presidente di INARSIND Arezzo, ha espresso all'assessore la necessità di una modifica radicale della legge, in specie in ordine alla doppia lettura Piano Strutturale-Regolamento Urbanistico, che ha di fatto allungato i tempi e incrementato gli aspetti burocratici, a tutto discapito della qualità stessa dei piani. Ha inoltre chiesto di partecipare agli incontri sulla riforma delle legge urbanistica con Confedertecnica regionale.

L'assessore, nel suo intervento conclusivo, ha mostrato di conoscere bene i punti critici della legge e ha espresso con molta chiarezza quali siano i principi a cui si sta ispirando per una sua riforma. Segnaliamo in particolare l'eliminazione di Piani Complessi d'Intervento, che non hanno dato buona prova di sè, e di cui proprio in questi giorni dovrebbe essere pubblicato quello dell'area ex Lebole.
Non ci è sembrato che l'aspetto elettorale abbia influenzato più di tanto le sue affermazioni, anche perché è venuta a parlare, forte di un documento preliminare approvato qualche giorno prima sui principi che dovranno guidare la modifica.
Tuttavia, dato che abbiamo fatto una ripresa video, anche se piuttosto scadente nel video e nell'audio (la cui responsabilità va equamente divisa tra il sottoscritto, che aveva le batterie del cellulare e della videocamera quasi scariche e Alessandro Cinelli, che non sa utilizzare il suo iPhone se non per telefonare e segnare i percorsi a cavallo con il GPS), tuttavia con un pò di fatica si riesce ad ascoltare l'intervento dell'assessore.
Vi invitiamo a farlo ed eventualmente a lasciare commenti con suggerimenti e giudizi.

Il Segretario
Arch. Pietro Pagliardini

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