La categoria dei Liberi professionisti
deve provvedere alla sua difesa con tutti i mezzi più risoluti, attraverso organizzazioni sindacali ad adesione libera,
sottratte ad ogni disciplina e gerarchia statale, limitate ai soli puri professionisti,
ossia a coloro che, unicamente da contratti di opera e mai da remunerazioni a tempo o a stipendio e quindi da lavoro subordinato,
anche se intellettualmente di alto grado, traggono i materiali mezzi della propria sussistenza".
Amadeo Bordiga, cofondatore del Sindacato Ingegneri Liberi Professionisti – Napoli, 1950

mercoledì 21 dicembre 2011

QUALCUNO COMINCIA A PRENDERE COSCIENZA DEL PROBLEMA DEI PROBLEMI: LA MACCHINA BUROCRATICA CHE BLOCCA IL PAESE

Finalmente da più parti comincia a manifestarsi la consapevolezza che buona parte di problemi del paese, e del nostro settore in particolare, sono causati dalle ormai insopportabili e soffocanti procedure burocratiche, dalla elefantiaca quantità e qualità di Leggi e Norme con cui tutti noi dobbiamo fare quotidianamente i conti e dalla incapacità della politica di comprendere la realtà e quindi di dare risposte efficaci.

Due casi di rilievo vogliamo segnalare.

1) Il primo è un articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 18 dicembre 2011. Panebianco è uno dei più lucidi politologi italiani e, leggendo l'articolo, ogni architetto, soprattutto toscano e aretino in particolare, potrà riconoscerne l'aderenza alla realtà, pensando al caso della legge regionale 40/2011 che modifica la Legge 1/2005 e  del Regolamento Urbanistico di Arezzo: la figura del politico che "decide" senza conoscere è una fotografia a noi nota.
Questo il link all'articolo:

di Angelo Panebianco


2) Il secondo è un ampio stralcio della Relazione programmatica del Presidente Nazionale di IN/ARCH, Isitituto Nazionale di Architettura, Adolfo Guzzini all'Assemblea Generale del 2011. Il Presidente Guzzini non è architetto ma imprenditore. Anche qui ritroviamo moltissimi elementi in comune con il Regolamento Urbanistico di Arezzo, con le procedure che dobbiamo seguire, con la quotidiana lotta per le interpretazioni delle incomprensibili e assurde norme, con la difficoltà, oltre alla crisi, di dare avvio a qualsiasi operazione edilizia.
Questo stralcio è stato tratto dal sito IN/ARCH.

Relaziona programmatica
…..La crisi ha messo in discussione inevitabilmente molti falsi miti del mercato senza regole, della finanza spregiudicata ed ha anche portato a rivalutare antichi valori troppo frettolosamente dimenticati.
Ma alle porte c’è anche il rischio di una società, soprattutto in Italia, che si chiude in se  stessa, insicura, incapace di qualsiasi progettualità. ….
Non voglio quindi soffermarmi troppo sui consueti tasti del nostro carnet de doléance. Voglio fare una selezione, una scelta. ……..
La seconda immagine che vorrei richiamare è contenuta in una recentissima indagine del Sole24Ore condotta a partire dal censimento del Nimby Forum, dove “Nimby” l’ormai famoso acronimo di “not in my backyard”, “non nel mio orticello”
Il quotidiano economico cita alcuni casi emblematici:
Il progetto per la realizzazione di un supermercato Esselunga a Cusano Milanino, nell’area dell’ex produzione cavi della Pirelli, è fermo da 25 anni per l’inerzia di tante pubbliche amministrazioni e l’opposizione di più o meno improvvisati comitati di cittadini.
Dopo sei anni di lungaggini burocratiche e mancate risposte il colosso svedese IKEA rinuncia alla costruzione di un nuovo centro nel comune di Vecchiano, in provincia di Pisa, portando via un investimento di oltre 70 milioni di euro che avrebbe prodotto 350 nuovi posti di lavoro.
L’approvazione del progetto di riconversione di una vecchia fabbrica Maccaferri in provincia di Arezzo in un moderno impianto a biomasse per la produzione di energia elettrica, dopo cinque anni di inconcludenti pratiche urbanistiche, è stato rinviato a data da destinarsi dalla Regione Toscana. 100 milioni di investimento e 450 nuovi posti di lavoro bloccati.
Sono passati oltre 10 anni dalla presentazione del progetto di realizzazione di un deposito per lo stoccaggio del gas a Rivara, nella campagna modenese, senza riuscire a venirne a capo. Il problema non è tanto nella opposizione del territorio – ha dichiarato il presidente dell’azienda Indipendent Gas Magement – ma nel sistema Italia che non è in grado di far sintesi di tutte le istanze, della proliferazione dei centri decisionali che possono creare ostacoli.
Mi fermo qui per ragioni di sintesi, ma i casi potrebbero essere ancora migliaia. Casi che non riguardano solo grandi insediamenti commerciali o industriali o infrastrutturali ma anche piccole, piccolissime trasformazioni urbane, limitati interventi residenziali e via dicendo.
Ecco dunque la dicotomia: da un lato un paese devastato nel suo paesaggio da abusi e scelte sbagliate che consumano in modo indiscriminato il territorio, come denunciano Stella e Rizzo, e dall’altro lato un paese bloccato, paralizzato da insostenibili lungaggini burocratiche come racconta il Sole24ore.
Da che parte stiamo? Siamo sicuri che l’alternativa sia tra scempio del territorio e paralisi?
Siamo sicuri che l’alternativa sia tra il fare e il non fare e non tra il far bene ed il far male?
Forse dovremmo ragionare su un altro piano. Forse è proprio la paralisi normativa e procedurale ad essere funzionale al degrado……..
Oggi in Italia economia, cultura, architettura sono tutte bloccate inevitabilmente dalla cattiva politica e dalla cattiva amministrazione.
E’ del tutto inutile parlare di alcunché se non affrontiamo una volte per tutte il problema della elefantiasi delle procedure che, mentre soffoca il nostro paese,contemporaneamente consente, di fatto, lo scempio dei suoi territori.
Parto da una considerazione: in Italia la Pubblica Amministrazione, a tutti i livelli, non chiede qualità ai progetti di trasformazione del territorio. Non la chiede perché non gli interessa.
Chiede altro e si interessa d’altro. Chiede carte, burocrazia, asseverazioni, giuramenti, metri cubi, rispetto di parametri inutili, verifiche di vincoli astratti e contradditori.
Si compiace nel costruire corse ad ostacoli sempre più difficili e fantasiose, nel moltiplicare i centri decisionali, i diritti di veto, l’attribuzione di competenze a soggetti incompetenti.
Amplifica all’inverosimile norme e contro-norme, livelli di pianificazione, inutili regolamenti.
In questo quadro è del tutto inutile continuare ad offrire qualità a chi non la vuole, a chi non la cerca. E’ come proclamare il proprio immenso amore ad una donna che non ti vuole.
Altro che leggi per l’Architettura, piani strategici, piani territoriali, piani integrati, concorsi di progettazione, regole di appalto. In questo quadro il problema non è neanche la mancanza di risorse legato alla crisi economica.
Si coniano, in ogni sede, nuovi slogan, anche condivisibili, come ad esempio quello relativo alla necessità di bloccare ogni ulteriore consumo di suolo per concentrarsi sulla riqualificazione dell’esistente, sulla demolizione e ricostruzione, sulla densificazione.
Ma chi teorizza in ogni occasione questa prospettiva ha mai provato a confrontarsi concretamente con le difficoltà burocratiche che si incontrano quando si vuol riqualificare pezzi di città, quando si prova a demolire e ricostruire edilizia fatiscente? Si è mai imbattuto, solo per fare qualche esempio, in concetti normativi incomprensibili come quelli che obbligano a ricostruire un edificio abbattuto, privo di qualsiasi qualità e pensiero, mantenendone la “sagoma”, sostantivo quanto mai vago e di difficile interpretazione?
Si vuole favorire l’intervento sull’esistente ma non si fa nulla, sul piano delle regole, per incentivare questo processo. Al contrario si continua ad inventare procedure e vincoli che scoraggiano.
Provate a leggervi le Norme Tecniche di Attuazione di qualche piano regolatore recente e poi ditemi se siete riusciti a capire come si fa a riqualificare.
Non sto qui proponendo forme selvagge di deregolamentazione del sistema. Non è questa la strada. I tentativi compiuti con il cosiddetto piano casa sono completamente falliti.
Sostengo invece la necessità di avviare un profondo cambiamento del modello culturale e politico che è sotteso all’attuale sistema di regole e procedure.
E su questo l’IN/ARCH, con i suoi progettisti, i suoi imprenditori, i suoi uomini di cultura, ha il dovere di impegnarsi. Capiremo insieme come, se cambiando il Testo unico per l’edilizia o proponendo una nuova legge urbanistica nazionale o altro. Ma dobbiamo sapere che su questo terreno il nostro Istituto deve spendere le sue energie e la sua capacità di elaborazione.
Dobbiamo farlo anche perché il risultato di questo sistema, come dicevo prima, non è solo l’immobilismo.
E’, in modo speculare e forse voluto, l’esaltazione della deroga quale unica via di uscita da regole impossibili, è il dilagare dell’abuso diffuso.
Anche perché all’abuso per speculazione ed all’abuso per necessità dobbiamo aggiungere una nuova categoria nel nostro paese: l’abuso per disperazione.
Mai come oggi ha senso la verità proclamata da Voltaire: “Le leggi inutili indeboliscono quelle necessarie”.
Sulla barriera delle procedure si infrange qualsiasi altro ragionamento:
sull’architettura, sulla qualità, sull’urbanistica, sulla felicità dei popoli e quant’altro.
L’eccesso di burocrazia e di procedure sadicamente complesse e poco chiare, distoglie l’attenzione da tutto il resto: non si progetta più per produrre spazi di vita che consentano di dare risposte alle esigenze dei cittadini per farli vivere meglio: si progetta per rispondere solo alle esigenze delle procedure.
In tutto ciò irrompe prepotente la componente tempo, prima vittima delle leggi e delle procedure inutili.
Il tempo non è una variabile indipendente, come pensano i tanti burocrati delle pubbliche amministrazioni.
Pesa come un macigno sulla qualità dell’architettura, sulla pianificazione, sullo sviluppo economico, sulla società.
Posso avere in mano il miglior progetto di trasformazione urbana del mondo, il più attento alla sostenibilità, al contesto fisico e sociale, alla fattibilità economica, all’innovazione tecnologica ecc. ecc.
Ma se lo realizzo dopo 20 anni dalla sua concezione diventerà comunque un progetto sbagliato!
Operatori immobiliari, investitori, costruttori, progettisti quando e se riescono a raggiungere la fine del labirinto burocratico per realizzare un intervento non hanno più né la forza né la voglia né le risorse per occuparsi della qualità dell’Architettura.
Ma come è possibile che nessuno si renda conto di come questa macchina infernale che è stata costruita tra vincoli e procedure è la strada sbagliata che ha prodotto degrado e devastazione del territorio? ……..
Voglio qui citare la sequenza logica che in tante occasioni il nostro “saggio”, l’ingegner Odorisio ha espresso.
Un sequenza capace di offrire un quadro straordinariamente sintetico della nostra realtà:
l’architettura è stata uccisa dall’urbanistica. L’urbanistica è stata uccisa da una presunta tutela del paesaggio. Architettura, urbanistica e paesaggio sono stati uccisi da inutili procedure ed autocompiacenti regole burocratiche.
La domanda che sorge immediata è questa: chi è l’assassino?
La risposta non è semplice. Ma forse nessuno di noi può sentirsi immune. Ciascuno di noi qualche coltellata, nel tempo, l’ha data.
Delle responsabilità della politica e dei pubblici amministratori ho già detto. Ma dobbiamo confessarci anche le responsabilità del mondo dei progettisti, degli urbanisti, dei pianificatori “illuminati” troppo spesso imprigionati da una sorta di super io disciplinare che li ha resi incapaci di confrontarsi con la realtà, con la necessaria mediazione dei conflitti che è insita in ogni processo di trasformazione fisica.

Adolfo Guzzini