Oggetto:
Deliberazione
del Consiglio regionale della Toscana del 2 luglio 2014, n. 58:
Integrazione
del piano di indirizzo territoriale (PIT) con valenza di piano paesaggistico.
Adozione ai sensi dell’articolo
17,
comma 1, della legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del
territorio).
OSSERVAZIONI
per INARSIND,
Sindacato Nazionale di Architetti ed Ingegneri liberi professionisti
Coordinamento regione Toscana, nella persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore Dott. Arch. Alessandro Cinelli c.f. CNLLSN56B09A390L, domiciliato
per la carica presso la sede di Piazza Vieusseux, 4 – 50134 Firenze. INARSID è
un Sindacato che ha tra i propri scopi la tutela dei Liberi Professionisti Ingegneri ed
Architetti Italiani e la rappresentanza sindacale in sede nazionale e
internazionale degli iscritti per la difesa e la tutela dei diritti e degli
interessi della categoria degli ingegneri e degli architetti liberi
professionisti anche nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni. Il
Sindacato è quindi portatore di un qualificato interesse all’apporto
collaborativo finalizzato alla pianificazione di vaste porzioni territoriali
anche in considerazione degli importanti riflessi economici e sociali
certamente ricadenti sull’intera categoria dei professionisti rappresentati.
Si osserva
1. Il non rispetto, nella procedura di adozione, dell' art. 3 comma 2 lett a della L.R. 73/2008.
Art. 3 - Commissione regionale dei
soggetti professionali:
competenze e composizione
...
2. La commissione formula proposte ed
esprime pareri in materia di interesse delle professioni, con particolare
riguardo:
a) agli atti di programmazione e alle
proposte di legislazione regionale connesse alla tutela delle attività
professionali e degli utenti delle medesime;
Non vi è
dubbio che le indicazioni del PIT riguardano pesantemente sia le attività
professionali che quelle degli utenti delle medesime, nei campi dell'attività
agricola ed edilizia. Le reazioni successive all'adozione del PIT, da parte di
varie associazioni di categoria, espresse in vari organi di informazione,
stanno a dimostrare che i professionisti e i propri committenti sono
interessati dalla delibera in oggetto.
Dall'analisi
degli atti della delibera non risulta che sia stato mai richiesto un parere
alla "Commissione regionale dei
soggetti professionali" in evidente contrasto con la normativa
regionale e in sostanziale contraddizione con quanto indicato nella stessa Relazione generale del piano paesaggistico
quando si afferma che le regole del PIT devono essere "pubblicamente
deliberate e condivise" (cft. pag 5).
2. Errato metodo di elaborazione dell'atto deliberato che contraddice i principi di partecipazione e condivisione che devono essere alla base di ogni strumento di governo del territorio
Oltre a
quanto osservato al punto 1, si osserva ulteriormente che i principi di partecipazione
e condivisione delle scelte e delle regole non sono stati messi in atto
nonostante detti principi siano stati indicati come necessari anche nella Relazione generale del piano paesaggistico
adottato.
Dai
documenti visionati e da alcune comunicazioni pubbliche svolte, risulta che i
soggetti interessati direttamente al PIT non sono stati minimamente coinvolti
nella elaborazione del piano e nella codificazione delle regole e le proteste
comparse negli organi di informazione lo hanno ampiamente dimostrato. Per
esempio, durante il convegno, svolto dopo l'adozione e non prima, "Il
nuovo piano del Paesaggio" Arezzo, lunedi 28 luglio, l'Ass. Anna Marson,
nel presentare il PIT adottato, ha comunicato che la controparte principale è
stata il MIBAC. Gli altri soggetti coinvolti sono stati Il "Centro
Interuniversitario Di Scienze Del Territorio (Cist)" e Legambiente
Toscana.
La controparte vera, invece,
per uno strumento che dovrebbe regolare il paesaggio della toscana, doveva
essere l'insieme dei cittadini che in detto "paesaggio" vive e lavora.
I rappresentanti
delle professioni tecniche, nonostante le richieste e nonostante la normatica
di cui al punto 1, non sono stati coinvolti così come distanti sono rimasti
imprenditori in generale in tutti i campi e in particolare nel mondo
dell'imprenditoria agricola. Il mondo della cultura si è espresso
"nientepopodimenoche" attraverso
l'Accademia dei Georgofili.
Per chi non ne fosse a conoscenza si ricorda che L'Accademia dei Georgofili è la storica istituzione toscana che da
oltre 250 anni promuove, tra studiosi e proprietari agrari, gli studi di
agronomia, selvicoltura, economia e
geografia agraria ed ha avuto un ruolo primario nella definizione del Paesaggio
Toscano che il PIT vorrebbe preservare.
L'ex rettore dell'università di
Firenze Scaramuzzi ha scritto un articolo illuminante
(http://www.toscanaoggi.it/Cultura-Societa/Quale-destino-per-la-campagna-toscana).: "conservazione del
paesaggio agrario che danneggia gli agricoltori" ... "le normative obbligano l'imprenditore agricolo
a conservare la maglia agraria designandolo quasi come unico manutentore e
responsabile della tessitura storica". E poi
un passo pesante come una pietra: " Se il paesaggio è un
valore storico-culturale da tutelare (e non c'è dubbio che lo sia), allora
tutta la collettività dovrebbe concorrere alla sua salvaguardia". In altre parole,
un Piano come il PIT dovrebbe essere
condiviso e non "subìto" dai toscani e la fretta nell'adozione non si
spiega se non con necessità che nulla hanno a che fare con la valorizzazione
del paesaggio.
Il PIT dice (tra le cose più importanti) che bisogna
"salvaguardare la tessitura agraria leopoldina" e in questo modo
riconosce il valore dell'epoca lorenese. Aver dimenticato di coinvolgere
l'Accademia (di origine lorenese) appare come una fondamentale
contraddizione.
Ricapitolando,
un Piano Paesaggistico può funzionare solo se viene condiviso dal territorio e
dai cittadini toscani altrimenti risulta solo come una autoritaria imposizione dall'alto. Prima dell'adozione si
sarebbero dovuti fare giri di consultazione, convegni e incontri nel
territorio, con le categorie economiche, col mondo della cultura (quella che
lavora nella società reale produttiva e non solo nell'empireo troppo spesso
avulso del "Centro Interuniversitario Di
Scienze Del Territorio").
Invece dei
giri di consultazione e condivisione si sono tenute posizioni aprioristiche
dividendo, in pratica, i buoni dai cattivi, quelli che vogliono difendere il
bel paesaggio da quelli che ("speculatori") lo sciupano. In questo
modo i liberi professionisti, gli imprenditori o gli agricoltori che usano la
"maglia larga" (invece di quella "fitta") sono stati tenuti
fuori dal processo di elaborazione.
Concludendo sul metodo, il percorso del PIT è
sbagliato dall'inizio fino all'adozione e la fase delle osservazioni (che, sarà
un caso, ma comprende l'agosto) non potrà certo colmare questa incongruenza.
3. Errore sostanziale in merito al modo di considerare il paesaggio come elemento avulso dal mondo reale della cultura, della tecnologia e dell'economia.
Fina dalla relazione
iniziale appare chiaro che il paesaggio è considerato come un bene fruttifero
dal punto di vista economico, come oggetto in sè, come parco ambientale, da
visitarsi al pari di un parco archeologico, avulso dalle produzioni agricole e
dalle attivitá imprenditoriali, non solo per gli scorci di "bellosguardo"
da cartolina ma per gli interi ambiti (20) in cui è divisa la toscana. Citando dalla relazione: "Il
paesaggio toscano ... è un luogo che catalizza energie (l’interazione tra
professionisti delle conoscenze avanzate come energia in grado di attivare
nuove economie), al quale è richiesto di saper coniugare riproduzione
dell’immagine e ricerca della qualità nelle diverse innovazioni utili e
necessarie."
Se le
parole hanno un senso, secondo il PIT i "professionisti
delle conoscenze avanzate"
(SIC) creano, col nostro paesaggio, nuove economie e perciò possiamo
imporre agli agricoltori una serie di cose del tutto antieconomiche come usare
la "maglia fitta" tipica dell'uso del
"pio bove" anche se oggi ci sono i trattori.
L'Italia,
della quale la Toscana fa parte, è una Repubblica fondata sul lavoro. Quel
lavoro che in Toscana ha prodotto, nel tempo, il paesaggio nelle varie e
mutevoli forme che ha avuto nel tempo. Al variare della struttura economica,
della cultura, della struttura sociale, il paesaggio ha subito conseguenti
variazioni. Il lavoro dei toscani non può essere schiacciato dal voler
considerare il paesaggio sostanzialmente come "Invariante". La
Repubblica italiana è fondata sul "lavoro" e non sul "Paesaggio
da cartolina" cosi come lo intendono gli estensori del PIT. Le regole
antieconomiche e antistoriche mettono in crisi l'attività imprenditoriale e
distruggono l'equilibrio tra
"lavoro" e "paesaggio" e un paesaggio senza congrue
attività economiche è destinato a deperire velocemente. L'accanimento contro la
coltura della vite e la produzione del vino sono il paradigma del grande errore
culturale e politico del PIT.
3.I. Le invarianti strutturali
L'errore
culturale di fondo è ben evidenziato dall'illustrazione delle cosiddette
"Invarianti strutturali". Il termine stesso "Invariante"
denota la considerazione statica e aprioristica che si ha del territorio e del
paesaggio. Invece che indagare, in modo dinamico e storico, la relazione che
nel corso dei secoli c'è stata tra attività umane e paesaggio, si è andati alla
ricerca degli elementi che nel paesaggio toscano debbono essere considerati
invariabili. Nella relazione è detto:"
Il trattamento delle invarianti nei diversi elaborati di piano è stato
finalizzato a codificare le regole genetiche riconoscibili nella costruzione
dei diversi paesaggi e, conseguentemente, una serie di regole da seguire nella
sua trasformazione al fine di mantenerne la struttura." Di seguito è
specificato che:
"Per l'individuazione degli
ambiti sono stati valutati congiuntamente i seguenti elementi:
- i sistemi idro-geomorfologici;
- i caratteri eco-sistemici;
- la struttura insediativa e
infrastrutturale di lunga durata;
- i caratteri del territorio rurale;
- i grandi orizzonti percettivi;
- il senso di appartenenza della
società insediata;
- i sistemi socio-economici locali;
- le dinamiche insediative e le forme
dell'intercomunalità. "
Ad una
analisi degli elaborati di piano di lettura dell'esistente e di quelli
contenenti "le regole da seguire" appare del tutto evidente che i "sistemi socio-economici" e le
collegate "dinamiche
insediative" sono state considerate e "fotografate" non solo
in modo spesso errato ma anche e soprattutto in modo del tutto statico (anche se nella relazione è usato l'espressione "dinamiche
insediative") e
senza considerare le evoluzioni nel lungo tempo durante il quale il nostro
paesaggio si è modificato fino all'attuale conformazione.
Chi affronta la storia con spirito critico e
non da cartolina, sa benissimo che il paesaggio, per usare una espressione cara
ai marxisti, è "sovrastruttura" nel senso che è il risultato di un
sistema sociale, di sistemi produttivi diffusi nel territorio e, in una parola,
della "cultura" intesa non come studi universitari o il leggere i
libri ma nel significato più profondo ed esteso.
Il paesaggio è il risultato dei gesti dei
singoli, delle abitudini economiche, delle azioni delle comunità locali, delle
indicazioni delle istituzioni storiche (p.e. l'accademia dei Georgofili) e via
discorrendo. Non si può ottenere la tutela del paesaggio se non si assume tutto
ciò come concetto fondamentale e se non si accetta il principio che l'aspetto
esteriore e "visibile" del territorio è sempre variato nel tempo e
sempre dovrà variare. Le "regole
genetiche" del PIT portano inevitabilmente,
invece, a congelare anche i minimi gesti dei singoli cittadini, degli
agricoltori, degli imprenditori e delle comunità locali (i comuni).
Gli atteggiamenti di distacco dalla realtà
hanno sempre la necessità di individuare un'epoca dell'età dell'oro quando
"le cose andavano bene". Il PIT, quando predica la necessità di
mantenere la "maglia fitta", individua l'età dell'oro nel periodo
lorenese e commette l'errore tipico (non a caso) di certi restauri storici
ottocenteschi di monumenti (chiese) che hanno preteso di stabilire quale periodo storico
privilegiare in edifici che contenevano varie stratificazioni. Perchè il PIT
privilegia l'epoca lorenese e non quella etrusco romana o delle signorie?
Perchè non riproporre l'impaludamento della Valdichiana a favore della tanto
sbandierata biodiversità degli uccelli migratori o della fauna acquatica? Non
era quel paesaggio abbastanza bello? Non erano certe zone umide migliori della
"maglia fitta" leopoldina? Usando le frasi (in corsivo), e la logica
del PIT potremmo argomentare, per assurdo, che il periodo medioevale o dei
liberi comuni è molto meglio del periodo lorenese. Se recuperassimo i relativi acquitrini, la "’interazione
tra professionisti delle conoscenze avanzate come energia in grado di attivare
nuove economie" potrebbe inventare
il turismo nelle "rinaturalizzate"
paludi della Valdichiana o del grossetano. Gli attuali produttori di cereali o
frutta e verdura, potrebbero modificare le proprie aziende riconvertendole alla
coltura della canna palustre, del giunco e del ranuncolo acquatico oppure dell'anguilla
e della ranocchia. In questo modo anche
la biodiversità ormai in estinzione dei circa trenta tipi di sanguisuga un
tempo esistenti potrebbe essere scongiurata, magari recuperandone anche la
funzione medica ormai dimenticata.
3.II. Criticità dei boschi cedui (pagg. 53-61 dell'abaco invarianti)
A titolo di esempio si segnala il giudizio
critico sui boschi cedui come dimostrazione della evidente lettura statica
della storia del paesaggio della Toscana. Il PIT dice che l'" estesa ceduazione costituisce un elemento di
criticità per la conservazione dell’integrità ecologica dei boschi, in quanto
tende generalmente a semplificare e a impoverire le fitocenosi dal punto di
vista ecologico e strutturale, riducendo la variabilità specifica e strutturale
dei boschi, necessaria ad ospitare le specie più sensibili alla frammentazione
ecologica."
Non si fa menzione dell'aumento dell'estensione
dei boschi conseguente all'uso del petrolio per riscaldamento e si fa
riferimento quasi esclusivamente alla necessità di frammentazione ecologica,
biodiversità senza mettere nella giusta luce il fatto che anche i boschi
possono prosperare soltanto se qualcuno ha interesse a mantenerli e coltivarli.
Non si fa menzione dei rimboschimenti operati, per esempio, nei primi anni '50
con la legge voluta dall'On. Amintore Fanfani e del fatto che un provvedimento
legislativo voluto contro la disoccupazione ebbe un forte impatto, su grandi aree
montane, a dimostrazione, ancora una volta, che paesaggio e sostenibilità
economica sono e devono essere correlati.
3.III. Il recupero dei terreni un tempo seminativi e poi diventati bosco
Alcuni estimatori del PIT hanno sottolineato,
rispondendo alle critiche delle associazioni dei coltivatori, che il documento adottato permette il recupero
dei terreni un tempo seminativi che, dopo l'abbandono, sono diventati bosco.
Sembrerebbe una concessione all'economia agricola ma in realtà non tiene conto
del fatto che quei terreni (in genere terrazzamenti in zone collinare o montane)
erano espressione di una economia di sussistenza ormai, per fortuna, tramontata. Anche questo argomento dimostra
la "lontananza" del PIT dalle reali caratteristiche ed esigenze del
paesaggio toscano.
3.IV. Le "regole genetiche" del PIT e le relative prescrizioni sono paradossalmente più restrittive dei Vincoli monumentali art. 10 Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Il monumento architettonico è qualcosa che si è
modificato nel corso del tempo e ha saputo interpretare i cambiamenti
socioculturali ed economici mantenendo e arricchendo il proprio valore di
testimonianza storica. Solo alcuni monumenti archeologici (per esempio il Colosseo)
hanno l'esigenza del quasi esclusivo stretto restauro degli elementi fisici poichè sono icona museale del passato. I
monumenti architettonici hanno il cosiddetto vincolo della Sovrintendenza ma
detto vincolo non vuol dire che sono invariabili. Vuol dire invece che
nell'intervenire si deve essere rispettosi della storia e i cambiamenti devono
perciò essere sottoposti alla approvazione di legge. Un edificio vincolato che,
per esempio, da residenziale diventa scuola può perciò essere modificato nella
forma interna ed esterna a seguito delle mutate esigenze. Si restaurano, così,
non solo gli elementi fisici ma anche la capacità dell'edificio di essere
utilizzato secondo nuove esigenze e opportunità. Il PIT, invece, individua dei
vincoli e delle regole molto più "invariabili", nonostante che il
paesaggio sia (rispetto ad un monumento architettonico) più esteso e ancor più
legato alla vita reale. Dire che, per il paesaggio toscano, si deve privilegiare
la "maglia fitta" leopoldina equivale a dire, per i monumenti
architettonici, che si deve privilegiare (tra gli innumerevoli segni del
passato) quelli di un preciso momento storico. E' come dire che in una chiesa
che porta i segni dei periodi paleocristiani, romanici, gotici, rinascimentali
e quant'altro, bisogna privilegiare il periodo, per esempio, romanico. Certi
paesaggi toscani dovrebbero quindi rimanere per, esempio, a "maglia
fitta" anche se il proprietario dei fondi agricoli non ha la possibilità economica
di mantenere tale forma. Un minimo sindacale di buon senso avrebbe suggerito
tutt'altro atteggiamento. Se poi in alcuni casi, che dovrebbero essere molto
circoscritti, si decide che certi luoghi devono rimanere invariati, allora il
PIT dovrebbe fare come per il monumenti architettonici per i quali sono
previste sovvenzioni ai privati da parte dello Stato. Invece il PIT prescrive,
ad esempio, che certe alberature debbano rimanere invariate, che per togliere
un albero occorre un certificato che ne attesti la malattia e il pericolo di
crollo, e che l'esemplare sia sostituito con un altro soggetto adulto. Ciò
equivale a costringere il privato, in modo del tutto autoritario, a sostenere i
costi per un bene che è di interesse
pubblico
."Sono ammessi interventi
volti alla sostituzione degli individui arborei certificati come staticamente
pericolosi o morti con esemplari adulti di identica specie."
E se gli alberi sono morti proprio perchè in quel
luogo erano di una specie sbagliata?
E chi paga gli oneri per la certificazione e per
l'esemplare adulto?
3.V. Questo PIT prosegue la strada della completa burocratizzazione della vita dei cittadini singoli, delle famiglie e di chi vuol fare impresa
La "Disciplina
dei beni paesaggistici", la "Disciplina
del Piano" e le prescrizioni contenute nelle "schede di vincolo", costituiscono un ciclopico insieme
di imposizioni che riguardano ogni lembo del territorio toscano, per i
cittadini e per gli enti territoriali locali che dovranno modificare i propri
strumenti urbanistici.
Gli obiettivi, le direttive e le prescrizioni
sono espresse in modo omnicomprensivo e nello stesso tempo generico con
inevitabile possibilità di interpretazioni astruse o arbitrarie. Molti concetti
vogliono dire tutto e non dicono niente.
Alcuni esempi di prescrizione:
·
"non occludano
i varchi e le visuali panoramiche"
come deve essere interpretato? Un muro, ad esempio, che altezza massima deve
avere per non occludere le visuali?
·
. "non
compromettano la qualità percettiva, dei luoghi" cosa vuol dire? una
nuova siepe "che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo
esclude" sarebbe forse da vietare?
·
"non riducano l’accessibilità alle rive dei laghi" con cosa? come si
definisce l'accessibilità? a piedi, col cavallo, con la piccozza o con l'automobile?
La
massima parte delle prescrizioni oscilla tra l'ovvio e l'impossibilità di
essere interpretato in modo sufficientemente univoco. L'estrema soggettività di
concetti e prescrizioni può dar luogo a
trasformazioni dannose per il territorio o, al contrario, saranno utili solo
per bloccare ogni minima attività umana.
La massima parte delle prescrizioni presuppone
una possibilità di intervento, sia dei privati che delle comunità locali, del
tutto impossibile economicamente con buona pace della salvaguardia e del
recupero dell'ambiente.
Si può prevedere invece che l'astrusità del
linguaggio complicherà in modo ancora più vertiginoso le difficoltà dei
cittadini e degli operatori economici nel territorio e tutto ciò in barba alla necessità di ogni piano di
essere condiviso dalla popolazione.
La estrema indeterminatezza delle norme sarà
inevitabilmente interpretata dagli uffici tecnici nel modo più restrittivo, al
fine di evitare problemi ai dirigenti e istruttori.
I piani strutturali esistenti e quelli in
itinere avranno ulteriore necessità di adeguamento con spese insostenibili da
parte dei comuni.
Le incombenze burocratiche cresceranno
ulteriormente quando invece ci sarebbe bisogno di grande semplificazione.
Il tutto in una situazione economica di estrema
crisi per la quale la pressione speculativa che potrebbe danneggiare il
territorio ed il paesaggio è quasi nulla.
3.VI. Il riuso dell'edilizia esistente e il "non consumo di suolo". Perfino le poche possibilità di recupero edilizio dell'esistente (stante l'attuale crisi economica) saranno del tutto disincentivate, nonostante molti proclami.
Appare logico che in futuro si debba puntare
sul "riuso" dell'esistente e non sulle nuove costruzioni.
Si osserva, però, che anche il
PIT (oltre ad altre normative regionali) è pervaso dal
"mantra" molto di moda contro il "consumo di suolo".
L'espressione "consumo di suolo" può essere forse utile per la
propaganda politica ma è del tutto errata per una seria politica di riuso
dell'esistente.
La dimostrazione di ciò sta nel fatto che il
PIT, come altre normative regionali, di fatto rende molto difficoltoso il riuso
dell'esistente, in zona agricola e nelle altre zone.
Già la legge 40 del 2011 (di modificazione
della 1/2005) ha inserito limitazioni al riuso dell'esistente in zona agricola
con un limite del 20% di addizione che privilegia i grandi edifici (che in
realtà non hanno bisogno di addizione) con discapito delle unità abitative piccole
(che invece avrebbero tale necessità).
Il PIT prosegue in questa errata direzione con
prescrizioni che di fatto impediscono la
suddivisione in unità abitative più piccole dei grandi complessi ex colonici
ormai abbandonati e in rovina, con buona pace della possibilità di
"riuso" dell'esistente.
Le prescrizioni indicate in molte schede, che
proibiscono la "frammentazione" e le "delimitazioni
fisiche", impediranno di fatto il riuso eliminando qualsiasi possibilità
di valutazione caso per caso da parte degli enti locali (Comuni).
3.VII. Ulteriore mortificazione delle autonomie comunali.
Il PIT comprime ancora di più l'autonomia
decisionale dei comuni, avocando alla Regione anche le decisioni e regole più
minute. Decisioni e regole che necessitano di una conoscenza più specifica
delle esigenze dei territori, degli abitanti e della relative attività..
Determinazioni e norme che possono essere decise solo dai comuni, che sono il vero front-office coi cittadini e
che possono rispondere in modo più
diretto ad eventuali errori o negligenze.
Conclusioni:
Con questo PIT la regione Toscana prosegue la strada dell'estrema
burocratizzazione della vita dei cittadini, delle imprese e di chi vuole
investire e sembra che il paesaggio sia solo la scusa per dettare nuovi
proclami, per paventare nuovi pericoli per il territorio al fine di irretire
tutte le attività dei cittadini e perfino delle aziende agricole, nelle pastoie
della già esagerata burocrazia pubblica.
Non bastavano le leggi regionali
urbanistico-edilizie già approvate? Con più di 300 articoli (esclusi
regolamenti di attuazione e allegati) la regione Toscana supera di gran lunga
tutte le altre regioni italiane. Abbiamo più del doppio dell'articolato della
regione Emilia-Romagna e sette volte di più di quello della regione
Marche. Le bellezze del paesaggio
toscano sono antecedenti a simile proliferazione burocratico-legislativa e ciò
dovrebbe far riflettere.
Questo PIT peggiora ulteriormente la situazione.
Per
quanto osservato si confida:
che il
Consiglio Regionale, in accoglimento delle presenti osservazioni, vorrà
rifiutare l’approvazione dell' Integrazione
del piano di indirizzo territoriale (PIT) con valenza di piano paesaggistico
adottata con Deliberazione del Consiglio regionale della Toscana del 2 luglio
2014, n. 58.
Distinti
saluti
Il Presidente di INARSIND
Coordinamento regione Toscana
Dott. Arch. Alessandro Cinelli
Sommario
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