La categoria dei Liberi professionisti
deve provvedere alla sua difesa con tutti i mezzi più risoluti, attraverso organizzazioni sindacali ad adesione libera,
sottratte ad ogni disciplina e gerarchia statale, limitate ai soli puri professionisti,
ossia a coloro che, unicamente da contratti di opera e mai da remunerazioni a tempo o a stipendio e quindi da lavoro subordinato,
anche se intellettualmente di alto grado, traggono i materiali mezzi della propria sussistenza".
Amadeo Bordiga, cofondatore del Sindacato Ingegneri Liberi Professionisti – Napoli, 1950

2014-09-19 Osservazioni al PIT con valenza di piano paesaggistico (Toscana)

Oggetto:
Deliberazione del Consiglio regionale della Toscana del 2 luglio 2014, n. 58:
Integrazione del piano di indirizzo territoriale (PIT) con valenza di piano paesaggistico. Adozione ai sensi dell’articolo
17, comma 1, della legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio).

OSSERVAZIONI

per INARSIND, Sindacato Nazionale di Architetti ed Ingegneri liberi professionisti Coordinamento regione Toscana, nella persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Dott. Arch. Alessandro Cinelli c.f. CNLLSN56B09A390L, domiciliato per la carica presso la sede di Piazza Vieusseux, 4 – 50134 Firenze. INARSID è un Sindacato che ha tra i propri scopi la  tutela dei Liberi Professionisti Ingegneri ed Architetti Italiani e la rappresentanza sindacale in sede nazionale e internazionale degli iscritti per la difesa e la tutela dei diritti e degli interessi della categoria degli ingegneri e degli architetti liberi professionisti anche nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni. Il Sindacato è quindi portatore di un qualificato interesse all’apporto collaborativo finalizzato alla pianificazione di vaste porzioni territoriali anche in considerazione degli importanti riflessi economici e sociali certamente ricadenti sull’intera categoria dei professionisti rappresentati.

Si osserva


1.     Il non rispetto, nella procedura di adozione, dell' art. 3 comma 2 lett a della L.R. 73/2008.


Art. 3 - Commissione regionale dei soggetti professionali:
competenze e composizione
...
2. La commissione formula proposte ed esprime pareri in materia di interesse delle professioni, con particolare riguardo:
a) agli atti di programmazione e alle proposte di legislazione regionale connesse alla tutela delle attività professionali e degli utenti delle medesime;

Non vi è dubbio che le indicazioni del PIT riguardano pesantemente sia le attività professionali che quelle degli utenti delle medesime, nei campi dell'attività agricola ed edilizia. Le reazioni successive all'adozione del PIT, da parte di varie associazioni di categoria, espresse in vari organi di informazione, stanno a dimostrare che i professionisti e i propri committenti sono interessati dalla delibera in oggetto.
Dall'analisi degli atti della delibera non risulta che sia stato mai richiesto un parere alla "Commissione regionale dei soggetti professionali" in evidente contrasto con la normativa regionale e in sostanziale contraddizione con quanto indicato nella stessa Relazione generale del piano paesaggistico quando si afferma che le regole del PIT devono essere "pubblicamente deliberate e condivise" (cft. pag 5).





2.     Errato metodo di elaborazione dell'atto deliberato che contraddice i principi di partecipazione e condivisione che devono essere alla base di ogni strumento di governo del territorio


Oltre a quanto osservato al punto 1, si osserva ulteriormente che i principi di partecipazione e condivisione delle scelte e delle regole non sono stati messi in atto nonostante detti principi siano stati indicati come necessari anche nella Relazione generale del piano paesaggistico adottato.
Dai documenti visionati e da alcune comunicazioni pubbliche svolte, risulta che i soggetti interessati direttamente al PIT non sono stati minimamente coinvolti nella elaborazione del piano e nella codificazione delle regole e le proteste comparse negli organi di informazione lo hanno ampiamente dimostrato. Per esempio, durante il convegno, svolto dopo l'adozione e non prima, "Il nuovo piano del Paesaggio" Arezzo, lunedi 28 luglio, l'Ass. Anna Marson, nel presentare il PIT adottato, ha comunicato che la controparte principale è stata il MIBAC. Gli altri soggetti coinvolti sono stati Il "Centro Interuniversitario Di Scienze Del Territorio (Cist)" e Legambiente Toscana.
La controparte vera, invece, per uno strumento che dovrebbe regolare il paesaggio della toscana, doveva essere l'insieme dei cittadini che in detto "paesaggio" vive e lavora.
I rappresentanti delle professioni tecniche, nonostante le richieste e nonostante la normatica di cui al punto 1, non sono stati coinvolti così come distanti sono rimasti imprenditori in generale in tutti i campi e in particolare nel mondo dell'imprenditoria agricola. Il mondo della cultura si è espresso "nientepopodimenoche" attraverso  l'Accademia dei Georgofili.
Per chi non ne fosse a conoscenza si ricorda che L'Accademia dei Georgofili è la storica istituzione toscana che da oltre 250 anni promuove, tra studiosi e proprietari agrari, gli studi di agronomia, selvicoltura, economia  e geografia agraria ed ha avuto un ruolo primario nella definizione del Paesaggio Toscano che il PIT vorrebbe preservare.
L'ex rettore dell'università di Firenze Scaramuzzi ha scritto un articolo illuminante (http://www.toscanaoggi.it/Cultura-Societa/Quale-destino-per-la-campagna-toscana).:  "conservazione del paesaggio agrario che danneggia gli agricoltori" ... "le normative obbligano l'imprenditore agricolo a conservare la maglia agraria designandolo quasi come unico manutentore e responsabile della tessitura storica". E poi un passo pesante come una pietra: " Se il paesaggio è un valore storico-culturale da tutelare (e non c'è dubbio che lo sia), allora tutta la collettività dovrebbe concorrere alla sua salvaguardia". In altre parole, un  Piano come il PIT dovrebbe essere condiviso e non "subìto" dai toscani e la fretta nell'adozione non si spiega se non con necessità che nulla hanno a che fare con la valorizzazione del paesaggio.
Il PIT dice (tra le cose più importanti) che bisogna "salvaguardare la tessitura agraria leopoldina" e in questo modo riconosce il valore dell'epoca lorenese. Aver dimenticato di coinvolgere l'Accademia (di origine lorenese) appare come una fondamentale contraddizione.  
Ricapitolando, un Piano Paesaggistico può funzionare solo se viene condiviso dal territorio e dai cittadini toscani altrimenti risulta solo come una autoritaria  imposizione dall'alto. Prima dell'adozione si sarebbero dovuti fare giri di consultazione, convegni e incontri nel territorio, con le categorie economiche, col mondo della cultura (quella che lavora nella società reale produttiva e non solo nell'empireo troppo spesso avulso del "Centro Interuniversitario Di Scienze Del Territorio").
Invece dei giri di consultazione e condivisione si sono tenute posizioni aprioristiche dividendo, in pratica, i buoni dai cattivi, quelli che vogliono difendere il bel paesaggio da quelli che ("speculatori") lo sciupano. In questo modo i liberi professionisti, gli imprenditori o gli agricoltori che usano la "maglia larga" (invece di quella "fitta") sono stati tenuti fuori dal processo di elaborazione.
Concludendo sul metodo, il percorso del PIT è sbagliato dall'inizio fino all'adozione e la fase delle osservazioni (che, sarà un caso, ma comprende l'agosto) non potrà certo colmare questa incongruenza.

3.     Errore sostanziale in merito al modo di considerare il paesaggio come elemento avulso dal mondo reale della cultura, della tecnologia e dell'economia.


 Fina dalla relazione iniziale appare chiaro che il paesaggio è considerato come un bene fruttifero dal punto di vista economico, come oggetto in sè, come parco ambientale, da visitarsi al pari di un parco archeologico, avulso dalle produzioni agricole e dalle attivitá imprenditoriali, non solo per gli scorci di "bellosguardo" da cartolina ma per gli interi ambiti (20) in cui è divisa la toscana.  Citando dalla relazione: "Il paesaggio toscano ... è un luogo che catalizza energie (l’interazione tra professionisti delle conoscenze avanzate come energia in grado di attivare nuove economie), al quale è richiesto di saper coniugare riproduzione dell’immagine e ricerca della qualità nelle diverse innovazioni utili e necessarie."
Se le parole hanno un senso, secondo il PIT i "professionisti delle conoscenze avanzate"  (SIC) creano, col nostro paesaggio, nuove economie e perciò possiamo imporre agli agricoltori una serie di cose del tutto antieconomiche come usare la "maglia fitta" tipica dell'uso del  "pio bove" anche se oggi ci sono i trattori.

L'Italia, della quale la Toscana fa parte, è una Repubblica fondata sul lavoro. Quel lavoro che in Toscana ha prodotto, nel tempo, il paesaggio nelle varie e mutevoli forme che ha avuto nel tempo. Al variare della struttura economica, della cultura, della struttura sociale, il paesaggio ha subito conseguenti variazioni. Il lavoro dei toscani non può essere schiacciato dal voler considerare il paesaggio sostanzialmente come "Invariante". La Repubblica italiana è fondata sul "lavoro" e non sul "Paesaggio da cartolina" cosi come lo intendono gli estensori del PIT. Le regole antieconomiche e antistoriche mettono in crisi l'attività imprenditoriale e distruggono  l'equilibrio tra "lavoro" e "paesaggio" e un paesaggio senza congrue attività economiche è destinato a deperire velocemente. L'accanimento contro la coltura della vite e la produzione del vino sono il paradigma del grande errore culturale e politico del PIT.

3.I.             Le invarianti strutturali

L'errore culturale di fondo è ben evidenziato dall'illustrazione delle cosiddette "Invarianti strutturali". Il termine stesso "Invariante" denota la considerazione statica e aprioristica che si ha del territorio e del paesaggio. Invece che indagare, in modo dinamico e storico, la relazione che nel corso dei secoli c'è stata tra attività umane e paesaggio, si è andati alla ricerca degli elementi che nel paesaggio toscano debbono essere considerati invariabili. Nella relazione è detto:" Il trattamento delle invarianti nei diversi elaborati di piano è stato finalizzato a codificare le regole genetiche riconoscibili nella costruzione dei diversi paesaggi e, conseguentemente, una serie di regole da seguire nella sua trasformazione al fine di mantenerne la struttura." Di seguito è specificato che:
"Per l'individuazione degli ambiti sono stati valutati congiuntamente i seguenti elementi:
- i sistemi idro-geomorfologici;
- i caratteri eco-sistemici;
- la struttura insediativa e infrastrutturale di lunga durata;
- i caratteri del territorio rurale;
- i grandi orizzonti percettivi;
- il senso di appartenenza della società insediata;
- i sistemi socio-economici locali;
- le dinamiche insediative e le forme dell'intercomunalità. "
Ad una analisi degli elaborati di piano di lettura dell'esistente e di quelli contenenti "le regole da seguire" appare del tutto evidente che i "sistemi socio-economici" e le collegate "dinamiche insediative" sono state considerate e "fotografate" non solo in modo spesso errato ma anche e soprattutto in modo del tutto statico (anche se nella relazione è usato l'espressione  "dinamiche insediative") e senza considerare le evoluzioni nel lungo tempo durante il quale il nostro paesaggio si è modificato fino all'attuale conformazione.
Chi affronta la storia con spirito critico e non da cartolina, sa benissimo che il paesaggio, per usare una espressione cara ai marxisti, è "sovrastruttura" nel senso che è il risultato di un sistema sociale, di sistemi produttivi diffusi nel territorio e, in una parola, della "cultura" intesa non come studi universitari o il leggere i libri ma nel significato più profondo ed esteso.
Il paesaggio è il risultato dei gesti dei singoli, delle abitudini economiche, delle azioni delle comunità locali, delle indicazioni delle istituzioni storiche (p.e. l'accademia dei Georgofili) e via discorrendo. Non si può ottenere la tutela del paesaggio se non si assume tutto ciò come concetto fondamentale e se non si accetta il principio che l'aspetto esteriore e "visibile" del territorio è sempre variato nel tempo e sempre dovrà variare. Le "regole genetiche"  del PIT portano inevitabilmente, invece,  a congelare  anche i minimi gesti dei singoli cittadini, degli agricoltori, degli imprenditori e delle comunità locali (i comuni).
Gli atteggiamenti di distacco dalla realtà hanno sempre la necessità di individuare un'epoca dell'età dell'oro quando "le cose andavano bene". Il PIT, quando predica la necessità di mantenere la "maglia fitta", individua l'età dell'oro nel periodo lorenese e commette l'errore tipico (non a caso) di certi restauri storici ottocenteschi di monumenti (chiese) che hanno preteso  di stabilire quale periodo storico privilegiare in edifici che contenevano varie stratificazioni. Perchè il PIT privilegia l'epoca lorenese e non quella etrusco romana o delle signorie? Perchè non riproporre l'impaludamento della Valdichiana a favore della tanto sbandierata biodiversità degli uccelli migratori o della fauna acquatica? Non era quel paesaggio abbastanza bello? Non erano certe zone umide migliori della "maglia fitta" leopoldina? Usando le frasi (in corsivo), e la logica del PIT potremmo argomentare, per assurdo, che il periodo medioevale o dei liberi comuni è molto meglio del periodo lorenese.  Se recuperassimo i relativi acquitrini, la "’interazione tra professionisti delle conoscenze avanzate come energia in grado di attivare nuove economie" potrebbe inventare il turismo nelle "rinaturalizzate" paludi della Valdichiana o del grossetano. Gli attuali produttori di cereali o frutta e verdura, potrebbero modificare le proprie aziende riconvertendole alla coltura della canna palustre, del giunco e del ranuncolo acquatico oppure dell'anguilla e della ranocchia.  In questo modo anche la biodiversità ormai in estinzione dei circa trenta tipi di sanguisuga un tempo esistenti potrebbe essere scongiurata, magari recuperandone anche la funzione medica ormai dimenticata.

3.II.           Criticità dei boschi cedui (pagg. 53-61 dell'abaco invarianti)

A titolo di esempio si segnala il giudizio critico sui boschi cedui come dimostrazione della evidente lettura statica della storia del paesaggio della Toscana. Il PIT dice che l'" estesa ceduazione costituisce un elemento di criticità per la conservazione dell’integrità ecologica dei boschi, in quanto tende generalmente a semplificare e a impoverire le fitocenosi dal punto di vista ecologico e strutturale, riducendo la variabilità specifica e strutturale dei boschi, necessaria ad ospitare le specie più sensibili alla frammentazione ecologica."
Non si fa menzione dell'aumento dell'estensione dei boschi conseguente all'uso del petrolio per riscaldamento e si fa riferimento quasi esclusivamente alla necessità di frammentazione ecologica, biodiversità senza mettere nella giusta luce il fatto che anche i boschi possono prosperare soltanto se qualcuno ha interesse a mantenerli e coltivarli. Non si fa menzione dei rimboschimenti operati, per esempio, nei primi anni '50 con la legge voluta dall'On. Amintore Fanfani e del fatto che un provvedimento legislativo voluto contro la disoccupazione ebbe un forte impatto, su grandi aree montane, a dimostrazione, ancora una volta, che paesaggio e sostenibilità economica sono e devono essere correlati.

3.III.        Il recupero dei terreni un tempo seminativi e poi diventati bosco

Alcuni estimatori del PIT hanno sottolineato, rispondendo alle critiche delle associazioni dei coltivatori,  che il documento adottato permette il recupero dei terreni un tempo seminativi che, dopo l'abbandono, sono diventati bosco. Sembrerebbe una concessione all'economia agricola ma in realtà non tiene conto del fatto che quei terreni (in genere terrazzamenti in zone collinare o montane) erano espressione di una economia di sussistenza ormai, per fortuna,  tramontata. Anche questo argomento dimostra la "lontananza" del PIT dalle reali caratteristiche ed esigenze del paesaggio toscano.

3.IV.        Le "regole genetiche" del PIT e le relative prescrizioni  sono paradossalmente più restrittive dei Vincoli monumentali art. 10 Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

Il monumento architettonico è qualcosa che si è modificato nel corso del tempo e ha saputo interpretare i cambiamenti socioculturali ed economici mantenendo e arricchendo il proprio valore di testimonianza storica. Solo alcuni monumenti archeologici (per esempio il Colosseo) hanno l'esigenza del quasi esclusivo stretto restauro degli elementi fisici  poichè sono icona museale del passato. I monumenti architettonici hanno il cosiddetto vincolo della Sovrintendenza ma detto vincolo non vuol dire che sono invariabili. Vuol dire invece che nell'intervenire si deve essere rispettosi della storia e i cambiamenti devono perciò essere sottoposti alla approvazione di legge. Un edificio vincolato che, per esempio, da residenziale diventa scuola può perciò essere modificato nella forma interna ed esterna a seguito delle mutate esigenze. Si restaurano, così, non solo gli elementi fisici ma anche la capacità dell'edificio di essere utilizzato secondo nuove esigenze e opportunità. Il PIT, invece, individua dei vincoli e delle regole molto più "invariabili", nonostante che il paesaggio sia (rispetto ad un monumento architettonico) più esteso e ancor più legato alla vita reale. Dire che, per il paesaggio toscano, si deve privilegiare la "maglia fitta" leopoldina equivale a dire, per i monumenti architettonici, che si deve privilegiare (tra gli innumerevoli segni del passato) quelli di un preciso momento storico. E' come dire che in una chiesa che porta i segni dei periodi paleocristiani, romanici, gotici, rinascimentali e quant'altro, bisogna privilegiare il periodo, per esempio, romanico. Certi paesaggi toscani dovrebbero quindi rimanere per, esempio, a "maglia fitta" anche se il proprietario dei fondi agricoli non ha la possibilità economica di mantenere tale forma. Un minimo sindacale di buon senso avrebbe suggerito tutt'altro atteggiamento. Se poi in alcuni casi, che dovrebbero essere molto circoscritti, si decide che certi luoghi devono rimanere invariati, allora il PIT dovrebbe fare come per il monumenti architettonici per i quali sono previste sovvenzioni ai privati da parte dello Stato. Invece il PIT prescrive, ad esempio, che certe alberature debbano rimanere invariate, che per togliere un albero occorre un certificato che ne attesti la malattia e il pericolo di crollo, e che l'esemplare sia sostituito con un altro soggetto adulto. Ciò equivale a costringere il privato, in modo del tutto autoritario, a sostenere i costi per un bene  che è di interesse pubblico
."Sono ammessi interventi volti alla sostituzione degli individui arborei certificati come staticamente pericolosi o morti con esemplari adulti di identica specie."
E se gli alberi sono morti proprio perchè in quel luogo erano di una specie sbagliata?
E chi paga gli oneri per la certificazione e per l'esemplare adulto?


3.V.           Questo PIT prosegue la strada della completa burocratizzazione della vita dei cittadini singoli, delle famiglie e di chi vuol fare impresa

La "Disciplina dei beni paesaggistici", la "Disciplina del Piano" e le prescrizioni contenute nelle "schede di vincolo", costituiscono un ciclopico insieme di imposizioni che riguardano ogni lembo del territorio toscano, per i cittadini e per gli enti territoriali locali che dovranno modificare i propri strumenti urbanistici.
Gli obiettivi, le direttive e le prescrizioni sono espresse in modo omnicomprensivo e nello stesso tempo generico con inevitabile possibilità di interpretazioni astruse o arbitrarie. Molti concetti vogliono dire tutto e non dicono niente.
Alcuni esempi di prescrizione:
·         "non occludano i varchi e le visuali panoramiche" come deve essere interpretato? Un muro, ad esempio, che altezza massima deve avere per non occludere le visuali?
·         . "non compromettano la qualità percettiva, dei luoghi" cosa vuol dire? una nuova siepe "che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude" sarebbe forse da vietare?
·         "non riducano l’accessibilità alle rive dei laghi" con cosa? come si definisce l'accessibilità? a piedi, col cavallo, con la piccozza o con l'automobile?
La massima parte delle prescrizioni oscilla tra l'ovvio e l'impossibilità di essere interpretato in modo sufficientemente univoco. L'estrema soggettività di concetti e prescrizioni può  dar luogo a trasformazioni dannose per il territorio o, al contrario, saranno utili solo per bloccare ogni minima attività umana.

La massima parte delle prescrizioni presuppone una possibilità di intervento, sia dei privati che delle comunità locali, del tutto impossibile economicamente con buona pace della salvaguardia e del recupero dell'ambiente.
Si può prevedere invece che l'astrusità del linguaggio complicherà in modo ancora più vertiginoso le difficoltà dei cittadini e degli operatori economici nel territorio e tutto ciò  in barba alla necessità di ogni piano di essere condiviso dalla popolazione.
La estrema indeterminatezza delle norme sarà inevitabilmente interpretata dagli uffici tecnici nel modo più restrittivo, al fine di evitare problemi ai dirigenti e istruttori.
I piani strutturali esistenti e quelli in itinere avranno ulteriore necessità di adeguamento con spese insostenibili da parte dei comuni.
Le incombenze burocratiche cresceranno ulteriormente quando invece ci sarebbe bisogno di grande semplificazione.
Il tutto in una situazione economica di estrema crisi per la quale la pressione speculativa che potrebbe danneggiare il territorio ed il paesaggio è quasi nulla.

3.VI.        Il riuso dell'edilizia esistente e il "non consumo di suolo".  Perfino le poche possibilità di recupero edilizio dell'esistente (stante l'attuale crisi economica)  saranno del tutto disincentivate, nonostante molti proclami.

Appare logico che in futuro si debba puntare sul "riuso" dell'esistente e non sulle nuove costruzioni.
Si osserva, però,  che anche il  PIT (oltre ad altre normative regionali) è pervaso dal "mantra" molto di moda contro il "consumo di suolo". L'espressione "consumo di suolo" può essere forse utile per la propaganda politica ma è del tutto errata per una seria politica di riuso dell'esistente.
La dimostrazione di ciò sta nel fatto che il PIT, come altre normative regionali, di fatto rende molto difficoltoso il riuso dell'esistente, in zona agricola e nelle altre zone.
Già la legge 40 del 2011 (di modificazione della 1/2005) ha inserito limitazioni al riuso dell'esistente in zona agricola con un limite del 20% di addizione che privilegia i grandi edifici (che in realtà non hanno bisogno di addizione) con discapito delle unità abitative piccole (che invece avrebbero tale necessità).
Il PIT prosegue in questa errata direzione con prescrizioni che di fatto  impediscono la suddivisione in unità abitative più piccole dei grandi complessi ex colonici ormai abbandonati e in rovina, con buona pace della possibilità di "riuso" dell'esistente.
Le prescrizioni indicate in molte schede, che proibiscono la "frammentazione" e le "delimitazioni fisiche", impediranno di fatto il riuso eliminando qualsiasi possibilità di valutazione caso per caso da parte degli enti locali (Comuni).

3.VII.      Ulteriore mortificazione delle autonomie comunali.

Il PIT comprime ancora di più l'autonomia decisionale dei comuni, avocando alla Regione anche le decisioni e regole più minute. Decisioni e regole che necessitano di una conoscenza più specifica delle esigenze dei territori, degli abitanti e della relative attività.. Determinazioni e norme che possono essere decise solo dai comuni,  che sono il vero front-office coi cittadini e che possono rispondere in modo   più diretto ad eventuali errori o negligenze.

Conclusioni:


Con questo PIT la regione Toscana  prosegue la strada dell'estrema burocratizzazione della vita dei cittadini, delle imprese e di chi vuole investire e sembra che il paesaggio sia solo la scusa per dettare nuovi proclami, per paventare nuovi pericoli per il territorio al fine di irretire tutte le attività dei cittadini e perfino delle aziende agricole, nelle pastoie della già  esagerata burocrazia pubblica.
Non bastavano le leggi regionali urbanistico-edilizie già approvate? Con più di 300 articoli (esclusi regolamenti di attuazione e allegati) la regione Toscana supera di gran lunga tutte le altre regioni italiane. Abbiamo più del doppio dell'articolato della regione Emilia-Romagna e sette volte di più di quello della regione Marche.   Le bellezze del paesaggio toscano sono antecedenti a simile proliferazione burocratico-legislativa e ciò dovrebbe far riflettere.

Questo PIT peggiora ulteriormente la situazione.

Per quanto osservato si confida:

che il Consiglio Regionale, in accoglimento delle presenti osservazioni, vorrà rifiutare l’approvazione dell'  Integrazione del piano di indirizzo territoriale (PIT) con valenza di piano paesaggistico adottata con Deliberazione del Consiglio regionale della Toscana del 2 luglio 2014, n. 58.

Distinti saluti
Il Presidente di INARSIND
Coordinamento regione Toscana
Dott. Arch. Alessandro Cinelli




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